Fmi, Ocse e Bankitalia: sono tutte organizzazioni pessimiste sulla crescita dell’economia italiana nel 2019. Le previsioni sono unanimi per un’espansione dello 0,6% e non dell’1% come anticipa il governo. Anche Catherine Mann, capo economista di Citi, dubita fortemente che gli obiettivi possano essere centrati.
Tuttavia, intervistata da Tonia Mastrobuoni per La Repubblica, spiega che c’è ancora “molto potenziale” per crescere. Molto dipenderà da fattori e agenti esterni. Secondo l’ex funzionario dell’Ocse, dal 2018 capo economista della banca americana, le difficoltà dell’economia italiana sono dovute infatti in buona parte al contesto esterno poco favorevole.
“Non pensiamo che la crescita raggiungerà l’obiettivo dichiarato dal governo. Ma anche perché l’economia globale — che è molto importante perché l’Italia è un Paese che esporta — si sta indebolendo”.
Gli ultimi dati macro vengono definiti “deludenti ma non inattesi” e i mercati solitamente riescono a fare meglio i conti con la delusione piuttosto che con le sorprese. “Non credo che la situazione sia grave ma c’è molto potenziale ancora per invertire il trend e crescere, con le giuste politiche”.
A spaventare gli investitori è stato soprattutto il braccio di ferro sul bilancio con l’UE e la prospettiva che l’Italia superasse il 3% di deficit. “Ora l’emergenza è rientrata e c’è un negoziato più costruttivo, ma l’economia è peggiorata. Quello politico è un aspetto importante”.
Quanto alla questione spinosa della Brexit, difficilmente secondo Mann si arriverà a un divorzio “disordinato” o senza un accordo (scenario di ‘no-deal’ ritenuto dai più disastroso). Una Hard Brexit non è difatti nell’interesse del Regno Unito e nemmeno della Commissione Ue. La capo economista è convinta dunque che “si punterà a rimandare la scadenza del 29 marzo, credo che allora si possa creare una finestra per il negoziato”.
Sul rallentamento della Germania che rischia di sprofondare in una recessione tecnica, l’economista di Citi imputa la frenata a “un aspetto congiunturale” legato alla necessità di adeguarsi alle nuove regole sulle emissioni e che “non si ripeterà in questo primo trimestre”.
La Germania eviterà dunque una recessione tecnica. Il secondo fattore da prendere in considerazione, più strutturale, è “la Cina e il suo marcato rallentamento. Per molte aziende tedesche che esportano lì è una preoccupazione seria”.
“Pensiamo che ora una serie di decisioni che la Cina sta prendendo dovrebbero migliorare il quadro, nei prossimi sei mesi. Anche se resta l’altra, pesante incognita: la possibilità di una guerra commerciale con gli Stati Uniti”.