ROMA (WSI) – Lidia Undiemi, studiosa di diritto ed economia, collabora a Wall Street Italia, portando avanti con noi la battaglia in Europa (vedi anche www.ZeroBanca.it) contro il MES e il Fiscal Compact.
Dal 2009 ad oggi il deficit dell’Italia è diminuito di circa il 2,4% rispetto al Pil, cioè dal 5,4% alla famosa soglia del 3%. Sempre nello stesso arco temporale si è avuto un incremento del rapporto debito pubblico/Pil, passato dal 116,4% del 2009 al 133% attuale.
Secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia contenuti nel supplemento di ottobre 2013, il contributo dell’Italia al sostegno finanziario ai paesi dell’UEM ammonta a 50,8 miliardi di euro.
L’adesione di Roma a questi strumenti ha dunque inciso in modo determinante sull’aumento del debito pubblico, mentre la spesa pubblica è gradualmente diminuita per via dei vincoli sanciti dal trattato di Maastricht cui si associano quelli del Fiscal Compact.
E’ forse per questo che ultimamente la classica tecnica di colpevolizzazione dei cittadini basata sul binomio “spesa pubblica cattiva/italiani spreconi” ha dovuto cedere il passo allo spauracchio del limite del 3% del deficit con frasi del tipo “se Italia sfora tetto deficit del 3% necessarie misure per rispetto limiti”.
Ma come? Il rapporto deficit/Pil è diminuito di circa il 2,4% negli ultimi 4 anni, il debito pubblico ha subito un incremento vertiginoso anche a causa delle scelte finanziarie volute da chi oggi rappresenta l’Europa, e dopo anni di bombardamento mediatico sul problema del debito dovremmo accettare che tale entità condanni la nazione per il mantenimento di una percentuale il cui sforamento, nonostante la grave recessione, rientra comunque entro la soglia stabilita (3%)?
Le motivazioni di un simile cambio di rotta sono probabilmente scontate ed in linea con le interpretazioni fornite da validi accademici che hanno strutturato con coraggio e competenza una protesta contro l’attuale sistema economico e monetario europeo. Il punto è che per continuare a imporre scelte oltre ogni principio di razionalità economica e sostenibilità democratica è necessario trovare, di volta in volta, il modo per mantenere costantemente alta l’asticella dell’Europa “buona” e dello Stato “cattivo”.
Poiché il pretesto del debito è divenuto fastidiosamente incoerente rispetto a tale obiettivo, si è reso necessario spostare l’attenzione sulle misure necessarie per mantenere il tetto del deficit, cui possibilmente seguirà l’amplificazione del pareggio di bilancio, da intendersi come una sorta di “ergastolo finanziario” approvato con legge costituzionale nella scorsa legislatura.
Non bisogna sottovalutare l’importanza della questione, perché uno dei principali difetti del dibattito pubblico “alternativo” risiede proprio nell’autocastrazione del libero pensiero, laddove si cade nella trappola di commentare, seppur nel modo giusto, soltanto quel pezzetto di informazione legato all’evento del giorno.
Il caso più eclatante e che mi sta molto a cuore per ovvie motivazioni, è il trattato internazionale Mes, presentato al grande pubblico come “fondo salva-stati”. L’argomento torna ormai alla ribalta sporadicamente e in base alla vicenda del momento: il salvataggio delle banche spagnole, l’acquisto dei bund tedeschi da parte dell’organizzazione, l’aggiornamento circa il versamento delle quote e giù di lì.
Attendere di discuterne al suo prossimo utilizzo equivale ad essere complici, ma soprattutto significa non averne compreso la portata. Il Mes non è soltanto argomento di “pura” analisi economica e finanziaria, ma è anche uno strumento giuridico di gestione politica della crisi alternativo ai tradizionali canali istituzionali, siano essi nazionali o europei.
E’ stata questa visione interdisciplinare ad avermi consentito di comprenderne gli obiettivi. Le sue potenzialità politiche sono enormi, e se non si possiede una visione globale dello strumento si rischia di fare la fine della rana bollita. Per tale ragione, il prossimo scritto sarà dedicato a rilanciare momenti di studio-dibattito sui vari ambiti disciplinari che interessano il fenomeno, da quelli più prettamente economico-finanziari a quelli giuridico-istituzionali. Fondamentale, a tale scopo, il contributo di esperti delle varie materie. Proviamoci.
Si invitano i lettori che intendono approfondire l’argomento a leggere il dossier scritto da Lidia Undiemi nel febbraio 2012, inoltre tutto il materiale su MES e Fiscal Compact pubblicato da Wall Street Italia, nonché il recentissimo storify dell’economista Claudio Borghi.