Società

COM’ERA MODERNO NAPOLITANO

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Questo articolo e’ tratto dal blog PiovonoRane di Alessandro Gilioli, che ringraziamo. Il contenuto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Nonostante i precedenti, qualcuno in giro ancora si arrabbia con Napolitano perché ha firmato il legittimo impedimento, e molti si immaginano chissà quali segrete armi di ricatto abbia in mano Berlusconi per rendere tanto mansueto il Quirinale.

A me sembra che le ipotesi complottiste non tengano conto di chi è stato culturalmente, direi quasi cognitivamente, Giorgio Napolitano. O, meglio ancora: che cos’è stata nel Pci la corrente migliorista, di cui Napolitano era il massimo rappresentante nazionale.

Eppure non è difficile: basterebbe risfogliare i giornali degli anni Ottanta per farsi riportare alla mente quanto i miglioristi fossero tiepidi con il sistema di potere dell’epoca – quello del Caf, di cui Berlusconi era l’editore incaricato – al quale non contrapponevano alcuna ipotesi di alternativa culturale e politica ma del quale bramavano solo qualche fetta di potere e di affari.

A fronte della sobria moralità di Berlinguer e delle utopistiche teorizzazioni di Ingrao, i miglioristi rispondevano coltivando i rapporti con le aziende e con i “poteri forti”, all’epoca assai più forti di adesso.

Un connubio che ebbe la sua punta di diamante a Milano, dove il Pci (dominato dai miglioristi, appunto) lungi dal denunciare politicamente la greppia craxiana- quella che poi prese il nome di Tangentopoli – ambivano solo a farne parte: con la collaborazione alle giunte socialiste, con la spartizione dei posti chiave alla Rai e nel resto del sottopotere, attraverso gli ottimi rapporti con i potentati economici della città.

L’incarnazione plastica di questa impostazione era un mensile che si chiamava il Moderno, espressione dei miglioristi, che già nel nome rivendicava l’abbraccio con i valori dominanti della Milano da bere: dalla Borsa alla rucola, fino alla “modernità” – appunto – di quel dinamico broadcaster milanese che riempiva di pubblicità le pagine del mensile in questione: Silvio Berlusconi.

Niente di segreto, niente di misterioso: era tutto più o meno alla luce del sole. I miglioristi erano filosocialisti, proprio come Berlusconi – e tanti altri. Quindi nessuno si stupiva che il filosocialista Berlusconi finanziasse il mensile della corrente di Napolitano.

Ora, sia ben chiaro e a scanso di equivoci: qui non si sta dicendo che Napolitano firma tutto perché Berlusconi 25 anni fa lo finanziava. Si sta dicendo che Napolitano è sempre stato – o almeno era già negli anni Ottanta – assai indulgente verso un modo di intendere la politica e il suo intreccio con gli affari che a una minoranza di milanesi – penso a Società Civile, penso a Nando Dalla Chiesa e a pochi altri – pareva invece ributtante, e che infatti poi è scoppiato come un bubbone purulento nel ‘92-’93.

Aspettarsi che adesso Napolitano ribolla di sdegno morale verso l’erede di quel mondo, insomma, mi pare aspettarsi davvero un po’ troppo.

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