Tutti i paesi del G20 si erano accordati per ridurre le emissioni di CO2, limitando il consumo e gli acquisti di combustibili fossili quanto più possibile. Un accordo che sembrerebbe non sia stato rispettato nell’ultimo anno, dato che i paesi del G20 avrebbero versato oltre 1 trilione di dollari nell’industria ancora dipendente dai combustibili fossili. Eppure al COP26 avevano promesso di ridurre i sussidi per questo settore.
Una situazione abbastanza imbarazzante, specie dopo le promesse fatte a Glasgow due anni fa, quando i più ricchi 20 paesi del mondo avevano deciso di ridurre la dipendenza da tutti quei combustibili che contribuiscono al riscaldamento globale. Questa inversione di tendenza si potrebbe spiegare a causa dell’inflazione globale dovuta alla crisi energetica scaturita sia per la pandemia, sia dall’invasione russa dell’Ucraina. L’unica soluzione sembrerebbe quella di fissare una carbon tax più elevata.
Le promesse del G20 sul finanziamento ai combustibili fossili
Sono passati 2 anni dall’incontro del G20 al COP26 a Glasgow. In quella sessione, i Capi di Governo dei 20 paesi più ricchi del mondo avevano sottoscritto un accordo in cui, citando quanto riportato sul sito ufficiale, si sarebbe data “piena priorità […] alla transizione verso l’energia pulita, utilizzando le nostre risorse per migliorare ciò che può essere fornito dal settore privato.”. Tra le misure, appunto “porre fine al nuovo sostegno pubblico diretto al settore energetico internazionale senza sosta dei combustibili fossili entro un anno dalla firma di questa dichiarazione.”. Nei punti successivi però mettono una data: “[…] la produzione globale e l’uso di combustibili fossili senza sosta devono diminuire in modo significativo entro il 2030.”.
E questo per favorire “le transizioni energetiche, l’accesso all’energia e sostenere lo sviluppo delle tecnologie pulite, migliorando i mezzi di sussistenza e le prospettive occupazionali in tutto il mondo“. Il punto è infatti di finanziare con soldi pubblici la riduzione “dei costi delle alternative energetiche pulite come l’energia solare ed eolica“. I leader del G20 hanno concordato di eliminare gradualmente gli inefficienti sussidi ai combustibili fossili “nel medio termine” già nel 2009. E sette anni dopo, ovvero a partire dal 2016, è stato avviato un programma volontario di Peer Review sui sussidi ai combustibili fossili, tra due paesi ogni anno (uno avanzato e uno emergente). Il paese avanzato avrebbe aiutato quello emergente ad analizzare e trovare soluzioni adatte per favorire la transizione energetica e la riduzione del consumo di combustibili fossili. C’era molta speranza, soprattutto perché i primi furono USA e Cina, e poi nel 2017 Germania e Messico. E nel 2018 Italia e Indonesia. Pure Richard Damania, Chief Economist del Sustainable Development Practice Group della World Bank, intervistato al Guardian, aveva affermato l’importanza dei sussidi, utili “affrontare alcune delle sfide più urgenti del pianeta“. Ma così non è stato.
Il finanziamento record da parte del G20: numeri a confronto
1,4 trilioni di dollari sarebbe la cifra di questo finanziamento record perpetrato dai paesi del G20 per supportare l’industria legata ai combustibili fossili. A stimarlo è il think tank dell’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile (IISD). E questo nonostante le promesse di una riduzione progressiva. Come si può vedere dalle seguenti tabelle, riprese dallo studio “Fanning the Flames: G20 provides record financial support for fossil fuels“, nel corso del triennio 2019-2021 il supporto pubblico all’industria a combustibile fossile era passato da circa 600 miliardi a poco più di 500 miliardi, quindi nel rispetto degli accordi presi anni prima. Si erano ripresi leggermente nel 2021, anche se sotto il livello del 2019. Il problema arriva nel 2022 quando i sussidi ai combustibili fossili nel G20 hanno raggiunto i 1.000 miliardi di dollari nel 2022, oltre quattro volte l’importo fornito nel 2021.
Andando a vedere più in profondità, nella seconda tabella, i beneficiari di questi sussidi nella stragrande maggioranza dei paesi del G20, sono i consumatori, ai quali sono andati oltre 1 trilione di dollari. Questo è spiegabile per le misure di supporto alla popolazione che diversi paesi nel mondo hanno disposto durante la crisi energetica del Covid e dell’invasione russa in Ucraina. Solo per citarne alcuni, lo stanziamento del Governo Tedesco di 264,2 miliardi di euro di aiuti, così come i 71,6 miliardi provenienti dalle casse francesi, e infine i 62,6 dell’ex esecutivo Draghi. E solo per contenere l’aumento delle bollette e garantire i buoni sociali per l’energia. Tutti soldi però finiti nelle case e nelle imprese dipendenti da riscaldamenti ed elettricità basata su combustibili fossili.
Malgrado la necessità di supportare la popolazione nel minor tempo possibile, e senza guardare alla provenienza dell’energia, molti hanno criticato tali manovre. A cominciare dall’Agenzia internazionale per l’energia che, in un report di febbraio, ha rilevato che l’entità dei sussidi ai combustibili fossili nel 2022 era un “segnale preoccupante per le transizioni energetiche”. E mentre l’Occidente ha continuato a sussidiare l’industria dei combustibili fossili, paesi come l’India hanno potuto dimostrare di poter mantenere fede ai propri impegni ecologici, avendo ridotto i sussidi ai combustibili fossili del 76% dal 2014 al 2022 e aumentando significativamente il sostegno all’energia pulita.
I motivi dietro questa decisione
Come già accennato, il piano stava andando sostanzialmente bene, ma tra Covid e invasione russa dell’Ucraina i prezzi dell’energia sono schizzati alle stelle, e milioni di famiglie e imprese hanno rischiato di rimanere senza luce e gas per via dei costi impossibili. E anche quando i combustibili venivano venduti a prezzi superiori a quelli del mercato internazionale, i governi del G20 avevano fornito ingenti sussidi per ridurre le bollette energetiche per i carburanti per i trasporti, l’elettricità e il riscaldamento. Misure temporanee, ma non tutte mirate a privilegiare l’energia rinnovabile, ancora bassa in questi paesi. Anche se si parla di soli 440 miliardi di dollari di sussidi diretti alle imprese, rispetto al trilione, il report dell’IISD invita a non sottovalutare il loro impatto, perché potrebbero influenzare flussi di investimenti privati più ampi e assorbire le scarse risorse fiscali necessarie per catalizzare gli investimenti in soluzioni di transizione energetica pulita.
Ma si può ancora arginare il problema. E in vista del prossimo Cop28 negli Emirati Arabi, i Governi dovranno trovare il modo di arginare questi sussidi ai combustibili fossili. Al momento solo i paesi del G7 si sono presi come scadenza il 2025 per eliminare i sussidi, e probabilmente si andrà al 2030 per tutti. Tra le proposte ulteriori c’è quella di migliorare la destinazione di questi sussidi per includere solo le persone che ne hanno realmente bisogno, così come recuperare il più possibile i sussidi ai combustibili fossili con l’introduzione di una carbox tax con livelli minimi di tassazione del carbonio compresi tra 25 e 75 dollari per tonnellata di anidride carbonica equivalente (tCO 2 e), a seconda del reddito del paese.