ROMA (WSI) – Spiegato in parole povere, se milioni di persone cercano su Google, il re dei motori di ricerca, il termine «Apple», c’è una buona probabilità che, nel giro di pochi giorni, il valore delle azioni del colosso informatico americano crescerà o scenderà.
Tobias Preis, professore di scienza del comportamento e finanza della prestigiosa Warwick Business School, ha pubblicato uno studio sul rapporto tra l’andamento dei mercati finanziari e le ricerche su Google, indagando quindi su come le informazioni messe a disposizione dei motori di ricerca possono essere usate per capire e anticipare i movimenti dei titoli in borsa.
Lo studio di Preis analizza le nostre “tracce digitali”, le informazioni che lasciamo nell’interazione quotidiana con l’universo del web.
Il professore tedesco e la sua equipe hanno usato Google Trends, un programma gratuito che permette di sapere quante volte una parola è stata “googlata”, estendendo la ricerca in più di 200 paesi nel mondo.
Il periodo analizzato va dal 2004 al 2010 e le parole prese in considerazione sono 98, alcune più specifiche, come «entrate», «disoccupazione», «credito» e «nasdaq», altre invece più generiche, come «libertà», «mondo» e «casa». I risultati sono molto interessanti. Per esempio, più aumentano le ricerche con la parola «debito», più cresce il numero degli operatori di borsa decisi a vendere azioni a un prezzo più basso rispetto a quello della settimana precedente.
Allo stesso modo, Preis ha dimostrato che esiste un collegamento tra il numero di ricerche corrispondenti a una determinata società e le transazioni che ci saranno su quello stesso titolo nell’arco di una settimana.
«La possibilità di lavorare sui big data, enormi quantità di informazioni facilmente accessibili – spiega Preis alla rivista inglese Core – ci consente di avere una nuova visione del comportamento umano su larga scala. Google ha regalato a tutti noi la possibilità di individuare le decisioni collettive quando si trovano ancora in uno stadio iniziale. Non dimentichiamo che chi opera in borsa non è sconnesso dal mondo, ma usa Google e altre piattaforme simili per decidere su cosa investire».
I risultati di Google Trend comparati al prezzo di chiusura degli stessi trenta titoli che compongono l’indice Dow Jones – dal 15 marzo del 1039 al 31 dicembre del 2010 – mostrano che il rischio era molto sottostimato all’inizio della crisi finanziaria del 2008.
«Anche se gli operatori di borsa diversificano gli investimenti per diminuire i rischi, questo potrebbe invece aver ampliato la crisi – spiega Preis -. Con il mercato sottoposto a un forte stress, le azioni tendono a muoversi nello stesso modo invece che casualmente, e questo ha portato a complicazioni ancora maggiori. Possiamo immaginare di usare i risultati della nostra ricerca per anticipare i crolli della borsa, così contribuire alla stabilità del sistema finanziario». Pries sta già lavorando a una nuova analisi, questa volta sui dati di Wikipedia, una nuova frontiera per indagare su come quel che pensano le persone influisce sull’andamento dei mercati.
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