La direttiva europea Brrd che ha introdotto il bail-in in Europa è entrata in vigore in tutti i suoi effetti a partire dal gennaio 2016. La Brrd, in particolare, impedisce il salvataggio pubblico di una banca in crisi prima che una parte delle passività, pari all’8%, non sia stata coperta dalle “risorse interne” della banca medesima.
Ciò avviene, nell’ordine, azzerando il valore delle azioni, convertendo forzosamente in azioni le obbligazioni subordinate e, se la soglia dell’8% delle perdite non è stata ancora raggiunta, attingendo ai conti correnti per la parte eccedente i 100mila euro.
Il meccanismo nasce con lo scopo di scoraggiare comportamenti eccessivamente rischiosi da parte degli istituti di credito, che altrimenti potrebbero confidare troppo allegramente in un intervento di salvataggio pubblico, a carico dei contribuenti. Dopo la crisi finanziaria, infatti, ci si era interrogati su quanto fosse stato morale salvare le banche, che pure avevano contribuito a provocare la crisi tramite i propri comportamenti a rischio.
Va notato che, finora, la risoluzione bancaria che prevede il bail-in non è mai stata attivata in Italia. Gli interventi pubblici messi in campo nel caso delle banche venete, ad esempio, hanno cercato in ogni modo di scongiurare l’utilizzo di questo meccanismo le cui conseguenze in termini di fiducia nel risparmio possono essere assai più gravi di quelli osservati in Italia e negli altri Paesi europei. Detta altrimenti, non si è mai proceduto alla copertura dell’8% delle passività della banca in crisi. Com’è noto, tuttavia, gli obbligazionisti subordinati, ovvero i sottoscrittori di titoli di debito ad alto rischio emesso dalle banche, hanno compreso in varie circostanze che i propri risparmi possono essere considerati al sicuro nemmeno se il bail-in vero e proprio viene evitato.
Nel caso delle quattro banche regionali salvate a fine 2015 e, successivamente, delle banche venete è emerso con chiarezza che una quota consistente dei sottoscrittori di queste obbligazioni non erano consapevoli dei rischi connaturati a questo strumento. Una discussione seria sui rischi del bail-in per gli investitori, dunque, non può prescindere dalla consapevolezza che, in passato, sono stati venduti come “sicuri” titoli che non lo erano realmente – e che dopo la direttiva Brrd lo sono ancora di meno.
Bail-in, quali accorgimenti per il risparmio
La direttiva sul Bail-in mette in chiaro quali sono i titoli che possono essere coinvolti nella risoluzione di una crisi bancaria. Il primo esame che il risparmiatore dovrebbe fare i riguarda i propri investimenti, e nello specifico quei titoli emessi da istituzioni bancarie. Sia chiaro: i titoli finanziari gestiti tramite la banca non sono a rischio, né i conti correnti sotto i 100mila euro.
- L’attenzione si deve, al contrario, focalizzare sui titoli azionari (anche non quotati) in proprio possesso: se alcuni di essi sono titoli bancari, sarà bene verificare la solidità dell’istituto (come vedremo in seguito). In seconda battuta è importante controllare i titoli obbligazionari emessi da istituti bancari.
Da un lato, quelli garantiti, così come i covered bond, non possono essere coinvolti in un bail-in. Diverso il caso, invece, delle obbligazioni subordinate: anche in questo caso è opportuno controllare la solidità dell’emittente. -
Verificare la resilienza della banca. Controllare il coefficiente di solidità patrimoniale Cet 1 della propria banca e delle banche di cui si posseggono titoli di debito o azionari è un ottimo modo per capire le probabilità che l’istituto possa finire in risoluzione in caso di choc. Tale valore percentuale, infatti esprime il margine di sicurezza di cui la banca dispone per coprire eventuali perdite: più è alto, maggiore è la solidità dell’istituto.
Detto questo, è bene non eccedere con i timori generalizzati: se non si posseggono titoli o conti correnti che possano essere coinvolti in un bail-in, le variazioni nel Cet 1 fra una banca e l’altra non andranno a impattare in alcun modo il risparmio.