Se siete attenti lettori di questo blog, avrete notato che non mi sono mai espresso in merito all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Conseguentemente, non ho scritto nulla neanche a proposito di un’eventuale riforma della tassazione degli immobili.
Perchè, vi chiederete? Per semplice fatto che ritengo sia del tutto inutile dibattere inseguendo senza costrutto, la schizofrenia del governo e dei partiti (il Pdl, nello specifico) su interventi di politica fiscale, destinati a mutare ancor prima di essere pensati.
Tanto è vero che si è passati dall’Imu alla Trise, facendo tappa per la Tari, la Tasi, la Tuc, per poi finire, a quanto pare, alla Iuc. Almeno per momento.
Quindi, vedete che la confusione regna sovrana, testimoniando, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che non hanno la più pallida idea della materia della quale dovrebbero legiferare. Perché, se la si capisse, ci si accorgerebbe che è molto semplice riorganizzare l’Imu (soprattutto quella sulla prima casa), arrivando ad un imposta più equa e meno recessiva rispetto a quella conosciuta fino a questo momento.
Ma veniamo al punto. La questione dell’Imu pone diverse peculiarità che, al netto delle posizioni ideologiche difese -a mio avviso- in maniera insensata dal Pdl che vorrebbe la completa eliminazione dell’imposta sulla prima casa, sarebbe potuta essere riformata con dei piccoli interventi che ne avessero garantito una forte aderenza a criteri di maggiore equità.
Il concetto è abbastanza semplice da comprendere e anche abbastanza agevole da applicare. Infatti, ai fini del calcolo dell’imposta dovuta sulla prima casa (ma non solo), sarebbe sufficiente considerare il valore complessivo del patrimonio immobiliare identificato come prima casa, magari calcolato facendo riferimento al valore di mercato, e integrare questo valore con i redditi dichiarati ai fini ISEE, e il gioco sarebbe fatto.
In buona sostanza, essendo l’Imu un’imposta patrimoniale che colpisce beni immobili, ne deriva che il patrimonio immobiliare, ancorché possa considerasi cospicuo, non è affatto detto che sia un asset che generi reddito, e che quindi offra la possibilità in termini reddituali di adempiere al pagamento dell’imposizione tributaria. Senza poi considerare che, proprio perché patrimonio immobiliare, per definizione, non è liquido.
A parer di chi scrive, l’ìdea dell’applicazione di una struttura impositiva che consideri sia il valore dell’immobile sia le capacità reddituali del contribuente (soprattutto per colpire la prima casa) è mossa dal fatto che, se un soggetto vive su una casa, magari ereditata, con 10 stanze e quindi con una rendita catastale abbastanza significativa, non è detto che abbia un reddito tale che gli consenta di pagare un’imposizione tutt’altro che leggera su quel tipo di immobile. Tanto più in una crisi epocale come quella che ci sta colpendo.
E per pagare l’Imposta, non può di certo vendersi una stanza. Ma è anche vero il contrario. Cioè se un soggetto vive su una casa con 3 stanze, ma ha una capacitá contributiva decisamente più alta, allora sarebbe opportuno che pagasse qualcosa in più, ferme restando tutte possibili detrazioni del caso (figli, anziani ecc).
Anche perchè, il reddito ai fini ISEE considera tutti i redditi riconducibili all’intero nucleo familiare: quindi idoneo a rappresentare anche la capacità contributiva complessiva del soggetto titolare dell’immobile e del suo nucleo familiare, che dovrebbe comunque godere di detrazioni di imposta in relazione allo status della propria famiglia e al reddito ISEE. Nel senso che, tanto più alto sarà il reddito, tanto più basse dovrebbero essere le detrazioni.
Così facendo si eviterebbero ad origine quei fenomeni di disparità di trattamento che, oltre a creare un forte risentimento tra i contribuenti proprio per la disparità di trattamento subita, esulano del tutto dai principi sanciti dall’Art. 53 della Costituzione, secondo il quale “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Una simile struttura impositiva permetterebbe di ridurre quanto più possibile o addirittura eliminare, l’imposta a carico di percettori di redditi più bassi, eliminando gli effetti recessivi prodotti dall’imposta per tali tipologie reddituali. Al tempo stesso garantirebbe un maggior gettito rispetto a quello ottenuto con la completa eliminazione dell’Imu sulla prima casa, e garantirebbe maggiore aderenza al dettato costituzionale e maggiore equità impositiva.
Giova appena ricordare che, lo scorso ottobre, l’aliquota Iva ordinaria è stata aumentata al 22% proprio per l’ottusità dei partiti che hanno voluto l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa e soprattutto per l’incapacità del governo di formulare una proposta alternativa che avesse ottenuto la convergenza politica dei partiti che sostengono il governo, chiamandoli al buon senso e alle proprie responsabilità.
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