Fra il novembre 2018 e il gennaio 2019 il volume del commercio internazionale è diminuito al ritmo più sostenuto dagli anni dell’ultima grande crisi finanziaria ed è paragonabile all’effetto economico (in termini di scambi fra Paesi) della bolla dot com di inizio millennio.
Lo affermano i dati diffusi dal governo olandese, nei quali si legge che il rallentamento congiunturale degli scambi, nel trimestre al gennaio 2019, è stato dell’1,8%. Nel 2001, nei mesi successivi allo scoppio della bolla della New Economy, la battuta d’arresto del commercio mondiale fu del 2,2%. La Grande recessione ebbe un impatto assai maggiore e falciò fino al 12,7% del commercio internazionale.
Resta comunque un periodo delicato per gli scambi, con le sfide poste dall’amministrazione americana, che ha già varato nuovi dazi sulle importazioni cinesi del valore di 250 miliardi di dollari e, dall’altro lato, lo spettro di una Brexit senza accordo che continua ad aleggiare sull’Europa. È notizia delle ultime ore, infatti, che il partito di Nigel Farage, il “Brexit party”, risulta in testa ai sondaggi britannici in vista delle elezioni europee, con un consenso del 27%.
Lo stesso Vecchio Continente potrebbe essere oggetto di nuovi dazi da parte dell’amministrazione Trump, che intende usarli come arma negoziale anche con l’Unione Europea. Bruxelles ha fatto sapere due giorni fa che è pronta a rispondere alla minaccia statunitense, che aveva annunciato nuove tasse sul 11 miliardi di dollari di importazioni per via dei sussidi concessi alla concorrente di Boeing, Airbus. L’Ue ha pronto un pacchetto di dazi su 12 miliardi di prodotti importati dagli Usa. Se le parti non rinunceranno alle proprie istanze, il risultato sarà un minor volume degli scambi.
Il Fmi ha già certificato, negli ultimi sei mesi, ben tre revisioni al ribasso per la crescita del 2019, segno che il rallentamento degli scambi è destinato a ripercuotersi sulla produzione di quest’anno.