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“Con Trump e Draghi tornerà crisi dell’euro”

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Da quando Mario Draghi ha pronunciato le famose parole magiche “Faremo qualunque cosa pur di salvare l’euro” (“Whatever it takes to save the euro”) nel luglio del 2012, i titoli del debito sovrano europeo, complice anche il piano di acquisto di bond ultraespansivo e straordinario della Bce, sono saliti progressivamente, schiacciando i tassi.

Dall’elezione di Donald Trump e con l’avvicinarsi del referendum costituzionale italiano, il trend sul mercato del reddito fisso è decisamente cambiato. Lo Spread tra Btp e Bund ha sfiorato i 190 punti base, avvicinandosi alla soglia di pericolo dei 200 punti base. Il timore dei mercati e degli analisti è che una vittoria dei No al referendum del 4 dicembre possa aprire un periodo di instabilità politica in Italia che culmini con l’ascesa al potere di un movimento anti euro (se si sommano i consensi che sono in grado di ottenere i partiti non filo europei si arriva a più del 50%).

Con il programma di Quantitative Easing che volgerà lentamente al termine nel 2017 e con l’incremento delle spese pubbliche in area euro, i debiti pubblici dei paesi finanziariamente più vulnerabili del blocco i timori di insolvenza di Italia, Spagna e Francia cresceranno, a prescindere dalle situazioni politiche, tuttora incerte.

I due catalizzatori che potrebbero mettere fine al periodo positivo per i titoli di Stato dell’area periferiza dell’Eurozona hanno due nomi: Donald Trump e Mario Draghi. L’ezione di Trump crea immediatamente un peso supplementare sui bilanci dei paesi europei alla voce spese per la difesa.

C’entra la NATO. Il presidente eletto ha già dichiarato che i membri europei dell’alleanza atlantica dovrebbero arrivare a pagare il 2% del Pil in spese militari, come prevedono i trattati. Nel 2015 i 22 paesi Ue che sono anche membri della NATO hanno speso in media soltanto l’1,4% del Pil nella difesa, l’1,3% se si esclude il Regno Unito che dall’anno prossimo non farà più parte del budget Ue per la difesa. Gli Stati Uniti in confronto hanno contribuito con il 3,6% del Pil. Si tratta di una differenza di 94 miliardi di dollari,  pari allo 0,7% del Pil complessivo dei membri Ue dell’alleanza.

I paesi il cui rapporto tra debito e Pil oltrepassa già il 100% (Italia, Spagna e Portogallo) sono anche quelli con le spese più basse nel settore della Difesa e di riflesso se vorranno raggiungere l’obiettivo del 2%, avranno bisogno di destinare lo 0,7%-1,1% del Pil all’esercito e la sicurezza. In Francia il neo eletto candidato del centro destra Francois Fillon a già promesso che aumenterà le spese nella Difesa, raggiungendo il 2% del Pil entro il 2025.  Ad aprile i francesi sono chiamati alle urne per eleggere il loro nuovo presidente.

E non c’entrano solo le politiche di Trump in merito al futuro della NATO. L’impatto della fine del QE (il processo cosiddetto di tapering) sulle economie più fragili dell’area euro si farà sentire. Come osservano gli analisti di Barclays “il QE della Bce ha alimentato la crescita dell’Eurozona e ha favorito le dinamiche del debito pubblico”, contenendo le passività dei bilanci governativi di Italia e Spagna, per esempio. Gli economisti lo chiamano “azzardo morale“.

La crescita alimentata dal QE, il piano di acquisto di bond societari e titoli governativi della Bce, al ritmo di 80 miliardi di euro al mese, ha tenuto bassi i tassi di interesse facilitando l’opera di rifinanziamento sui mercati dei paesi più indebitati dell’area euro. In assenza del piano eterodosso ultra monetario, il debito pubblico di Italia e Spagna sarebbe salito di un allarmante 12%.

Il debito pubblico nei paesi meno virtuosi dell'area euro
Spese pubbliche nella Difesa in rapporto al Pil paese per paese. Il debito pubblico nei paesi meno virtuosi dell’area euro crescerà.