Continua a montare la polemica per il mancato rimborso dei biglietti di concerti ed eventi culturali che non si sono tenuti a causa della pandemia. Così come successo per chi è stato costretto a cancellare un viaggio, chi ha comprato il biglietto per un evento, successivamente cancellato, otterrà solo un voucher da utilizzare entro 18 mesi dall’emissione. Poco importa che l’artista non terrà un concerto nei successivi 18 mesi, o lo terrà in luogo diverso o troppo distante.
Per l’Aduc si stratta “dell’ennesima illegittimità”, denunciata all’Antitrust e alla Commissione UE affinchè intervenga.
” In tutto il resto d’Europa i biglietti per gli eventi saltati vengono rimborsati, solo l’Italia cerca di fare caso a parte violando le direttive europee in materia di clausole vessatorie (Direttiva 93/13/CEE) e di pratiche commerciali sleali (Direttiva 2005/29/CE)” dice l’associazione dei consumatori.
Che aggiunge: “I decreti Cura Italia e Rilancio introducono per legge una clausola vessatoria nei contratti che ha l’effetto di escludere i diritti del consumatore in caso di inadempimento totale o parziale, clausola nulla – secondo il nostro stesso codice del consumo – se a introdurla in un contratto è il professionista. Nulla anche se chi la introduce è lo Stato, per scaricare sul consumatore quegli interventi economici invocati dagli imprenditori per la pandemia anzichè provvedervi direttamente. L’obbligo dei voucher è, ancora, una pratica commerciale aggressiva poichè chiaramente falsa il comportamento economico del consumatore che, se lo avesse saputo prima, non avrebbe acquistato quei biglietti. Il nostro codice del consumo, che recepisce la normativa europea, all’art. 25 specifica che per determinare se una pratica commerciale comporta coercizione del consumatore occorre prendere in considerazione, fra i diversi elementi l’ostacolo “non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto […]”.
L‘obbligo di accettare i voucher è una coercizione in questo caso ancor più grave, poichè posta in atto dallo Stato in spregio a quegli stessi diritti – il diritto alla qualità dei servizi (ottenere il servizio per il quale ho pagato, e non un altro) e all’equità nei rapporti contrattuali, equità palesemente lesa nel caso dei voucher – che l’art. 2 comma 2 del codice del consumo definisce diritti fondamentali dei consumatori.
La nostra richiesta al legislatore è di fare tesoro dei suggerimenti della Commissione Europea e dell’Antitrust per i voucher nel turismo rendendo il voucher alternativo al rimborso a discrezione del consumatore oppure – per lo meno – di stabilire che se non utilizzato entro 18 mesi deve essere restituito (possibilmente con gli interessi)”.
Per quanto riguarda i viaggi – spiega l’Aduc – “c’è anche una pronuncia dell’Antitrust che intima il riallineamento della normativa emergenziale a quella ordinaria e a quella europea, e una intimazione della Commissione Ue a tornare alla legge entro lo scorso 28 maggio pena l’avvio di una procedura d’infrazione”. Sulla base di queste considerazioni, il consumatore può far valere i propri diritti mandano una raccomandata di andata e ritorno o una pec di messa in mora all’operatore. Secondo l’Aduc può farlo anche chi ha già accettato il voucher.
Palestre e piscine
In questi ultimi giorni, dopo che hanno riaperto, a dare voucher invece che soldi, si sono aggiunte anche palestre e piscine.
In questo caso l’Aduc suggerisce:
A – parlare con il gestore della palestra per fargli presente la propria indisponibilità ad accettare le modifiche imposte e quindi, a propria scelta:
1 – proporre una riduzione del prezzo stabilito (chiedendo – se non lo si è già fatto e ottenuto – anche il rimborso del periodo non utilizzato in cui la palestra è stata chiusa);
2 – far presente di non essere più interessati al loro servizio e chiedendo il rimborso di quanto già pagato (se si è pagato in anticipo) o l’annullamento delle successive rate (chiedendo – se non lo si è già fatto e ottenuto – anche il rimborso del periodo non utilizzato in cui la palestra è stata chiusa).
B – qualora il gestore non mostrasse disponibilità:
1 – inviare una raccomandata A/R o PEC di messa in mora intimando la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1463 del codice civile;
2 – se entro 10 giorni non si ha alcuna risposta o si ha risposta negativa, occorrerà rivolgersi al giudice di pace;
2a – se i pagamenti sono stati fatti con l’intermediazione di una finanziaria si potrà chiedere la risoluzione del contratto di credito al consumo alla stessa finanziaria (sempre per raccomandata a/r o PEC), intimando la risoluzione del contratto di finanziamento ai sensi dell’art. 125 quinques del Testo Unico Bancario e il rimborso delle rate pagate per servizi di cui non si è potuto usufruire. In mancanza di risposta o di risposta negativa, ci si potrà rivolgere all’Arbitro Bancario Finanziario.