Economia

Conflitto in Israele, come si stanno muovendo le aziende sul territorio

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Dopo l’attacco da parte di Hamas, diverse aziende internazionali hanno temporaneamente chiuso alcune delle loro attività in Israele. Tra chi ha chiesto ai propri dipendenti di lavorare da remoto e chi invece ha deciso di chiudere tutto in attesa che la situazione si calmi, le maggiori compagnie ora devono decidere le prossime mosse, con il rischio di dover chiudere ogni loro attività nel paese.

La maggior parte delle compagnie aeree per esempio hanno deciso di cancellare o sospendere i voli da e verso Tel Aviv, ad eccezione della compagnia di bandiera israeliana El Al Airlines, per permettere ai riservisti sparsi in tutto il mondo di tornare a casa a combattere, e poche altre come le compagnie turche Pegasus Hava e Turkish Airlines, sebbene con limitazioni nelle partenze. Ma ci sono anche banche, negozi e aziende tech internazionali nel paese, con alcuni di questi che hanno già preso decisioni e altre che invece monitorano la situazione.

Le aziende che si sono fermate

Le principali compagnie petrolifere hanno dovuto fermare i loro lavori, con la Chevron che ha chiuso il giacimento di gas naturale di Tamar su ordine stesso del governo di Israele. Nel settore bancario, JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Bank of America e Morgan Stanley hanno tutte deciso di chiudere temporaneamente le filiali nel paese e far lavorare i dipendenti da remoto.

La maggior parte delle società di logistica si sono invece fermate del tutto: FedEx, una società di consegne famosa in tutto il mondo, ha sospeso per il momento i servizi nel paese, come anche l’americana UPS. L’indiana Adani Ports continua invece a restare invece operativa in Israele, nonostante nella giornata di ieri abbia perso il Borsa 5 punti percentuali proprio a causa del conflitto israeliano-palestinese. Il colosso della tecnologia Nvidia ha annullato un vertice sull’intelligenza artificiale previsto a Tel Aviv, dove sarebbe stato presente anche il Ceo Jensen Huang.

Anche le aziende di consumo e vendita al dettaglio hanno adottato misure, con H&M che ha chiuso temporaneamente tutti i suoi negozi di Tel Aviv e Inditex, un’azienda di abbigliamento, che ha invece esteso le chiusure in tutto Israele. La sudcoreana LG Electronics non solo ha deciso di chiudere i negozi e far lavorare a distanza i dipendenti, ma ha anche ordinato ai dipendenti sudcoreani che lavoravano nella sede di Tel Aviv di ritornare in Corea.

L’azienda farmaceutica Eli Lilly and Co. ha fatto sapere al Reuters che sta monitorando da vicino la situazione per garantire la sicurezza dei suoi colleghi e al tempo stesso fornire medicinali ai pazienti dello Stato.

Le aziende italiane in Israele

E le aziende italiane? Per ora tutto tace. Sul suolo israeliano sono presenti aziende come Ita Airways, Enel, Ferrero, Intesa Sanpaolo e Tim, che però non hanno fatto sapere se e come agiranno con il conflitto in corso.

Una scelta non facile, dovuta anche al fatto che tra Italia e Israele ci sono accordi commerciali di grande spessore. I campi di cooperazione tra i due paesi sono di vario tipo: dall’hi-tech al settore energetico, ma anche quello sanitario ed elettrico. L’esportazione italiana verso il paese, stando ai dati dell’Osservatorio Economico, è di 3 miliardi nel 2022.

Il settore con i numeri più alti è quello dei macchinari e apparecchiature, con 641 milioni, seguito dai prodotti alimentari (346,7 milioni) e chimici (302 milioni). D’altra parte, l’Italia acquista principalmente da Israele sempre prodotti chimici per 451 milioni, poi mezzi di trasporto classificati come come navi, imbarcazioni, locomotive e materiale rotabile, aeromobili e veicoli spaziali e mezzi militari per 130 miliardi e infine coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio per 119.

Nell’energetico, i due stati hanno intensificato la loro collaborazione nei settori della tecnologia dell’acqua e dell’alimentazione, coinvolgendo sia il settore pubblico che quello privato, oltre all’ambito accademico. Numerose aziende italiane stanno adottando soluzioni avanzate sviluppate in Israele, soprattutto nei settori dell’irrigazione di precisione, dell’agricoltura intelligente e dell’agrovoltaico.

Enel ha aperto diversi hub di innovazione in Israele, tra cui l’Innovation Hub a Tel Aviv (attivo dal 2016), Infralab a Haifa (attivo dal 2020 fino al 2021), FinSec Lab a Beer-Sheva (attivo dal 2021 in collaborazione con Mastercard) e AI&Robotics Lab a Tel Aviv (attivo dal 2022).

Ma le aziende tech scappano dal paese

Ben prima della guerra, però, la situazione lavorativa in Israele non era delle migliori: a gennaio, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha presentato un disegno di legge volto a ridurre i poteri della Corte suprema israeliana; per il governo necessaria per evitare interferenze politiche da parte del massimo tribunale israeliano, ma per i critici sarebbe stata una riforma che avrebbe indebolito la democrazia israeliana.

Questo dibattito ha suscitato forti reazioni all’interno della “Startup Nation”, come è conosciuto il potente settore tecnologico israeliano; molti lavoratori del settore tech in Israele hanno partecipato alle proteste contro la riforma giudiziaria, con i dirigenti delle aziende che avevano espresso apertamente preoccupazioni per i possibili effetti sulla stabilità economica e sociale del paese.

La legge è poi passata in estate. Un sondaggio della Start-Up Nation Central, un’organizzazione no-profit che promuove la tecnologia israeliana all’estero, ha mostrato che quasi il 70 per cento delle startup israeliane si sta ora adoperando per allontanarsi dal proprio paese, ritirando denaro o spostando la propria sede legale.