Marcello Minenna, responsabile della divisione di Analisi Quantitativa e Innovazione Finanziaria della Consob, sfida la Germania, proponendo una riforma radicale, sebbene graduale, del fondo salva stati ESM (il Meccanismo europeo di stabilità). L’idea è quella di introdurre un meccanismo di Eurobond che permetterebbe di condividere i rischi sui debiti e abbassare i costi sugli interessi dei paesi periferici come l’Italia. In totale il Pil della terza economia dell’area euro ci guadagnerebbe 150 miliardi di euro.
La riforma radicale proposta da Minenna, ed enunciata sulle pagine del Financial Times , trasformerebbe l’ESM in un organismo di stabilità reale per l’area euro. Diventerebbe un meccanismo di transizione per un debito federale unico in Eurozona. Per farlo, spiega sempre l’economista italiano, va istituito un sistema di contributi che soppesi i rischi, in grado di incrementare la solidità finanziaria del Meccanismo ESM in termini di struttura del bilancio.
“In cambio del premio ricevuto, l’ESM garantirebbe i debiti pubblici per tutti gli Stati membri, consentendo un processo di transizione progressivo verso un debito federale unico nell’area euro”. Le iniezioni di capitale darebbero all’ESM l’opportunità di finanziare gli investimenti nei paesi in maggiore difficoltà finanziaria, favorendo al contempo il riallineamento dei cicli economici in seno all’area euro.
Invece di avere un prestatore di ultima istanza per la parte finanziaria dell’economia, si otterrebbe un meccanismo di sostegno all’economia reale che porterebbe a un incremento dei livelli di produttività negli Stati più poveri dell’Europa. Lo schema aiuterebbe dunque lo sviluppo di un mercato per gli Eurobond, permettendo di competere con i titoli di Stato Usa e attirare l’interesse di investitori internazionali.
“Al contrario di schemi alternativi come quello degli ‘European Safe Bonds’, che non prevedono un concetto di condivisione dei rischi, la mia proposta prevede soltanto una segmentazione temporanea tra elementi condivisi e non condivisi”, scrive Minenna. Una volta completato il passaggio, al debito pubblico complessivo dell’area euro risponderanno tutti i paesi membri.
“Se vogliamo evitare che la moneta unica si disintegri sotto le pressioni degli interessi nazionali, dobbiamo adottare una prospettiva federale genuina”. Per crescere veramente l’area euro deve insomma passare a un insieme di Stati che condividono la moneta a un progetto comune. Oggi l’ESM ha invece le mani legate per via delle sue stesse normative.
Oggi è invece possibile prestare aiuti solo in casi di stress finanziario. Se vogliono ricevere i prestiti di emergenza, i paesi che necessitano di aiuti devono accettare le condizioni imposte dall’esterno, varando riforme strutturali. I primi tre “azionisti” dell’Eurozona (Germania, Francia e Italia) possono inoltre porre un veto a ogni decisione.
Capitale ESM: una struttura imperfetta
Il fondo ESM ha un capitale pari a 704 miliardi di euro ma solo l’11,4% di questa somma è stata pagata. Il meccanismo del fondo salva stati presenta un gap enorme tra il capitale sottoscritto e quello effettivamente pagato. Se il board dovesse avere bisogno di capitale ulteriore (625 miliardi), i membri dell’ESM dovrebbero rispondere alle richieste con contributi finanziari ulteriori.
Lo schema espone i paesi dell’ESM a dei rischi di insolvenza nel momento di maggiore bisogno. Se l’Italia per esempio avesse bisogno di aiuti, la Spagna potrebbe trovarsi nei guai, non essendo in grado di fornire i capitali per tempo. Questo provocherebbe una diffusione della crisi e un effetto contagio. Per questo motivo l’ammontare massimo consentito per gli aiuti forniti dall’ESM è fissato a €500 miliardi, più di 200 miliardi sotto il capitale teorico.
A parte il richiamo ai singoli paesi, l’ESM può reperire fondi freschi emettendo bond con rating investment-grade e altri titoli del debito. Nel suo ultimo rapporto annuale si vede come il fondo salva Stati abbia emesso titoli del debito per 85,6 miliardi di euro. Si capisce bene che “la leverage è modesta“: l’ESM è stato in grado di fornire aiuti a Cipro e alla Grecia, chiedendo in cambio riforme molto dure, ed è stato coinvolto anche per la ricapitalizzazione indiretta delle banche spagnole nel 2012.
Ma se l’ESM, che ha sborsato poco più di 87 miliardi nei casi sopracitati, dovesse essere chiamato in causa per aiutare economie grandi come quella spagnola o quella Italia, il fondo salva Stati potrebbe trovarsi facilmente a corto di liquidità, senza contare che potrebbe andare incontro al veto dei membri considerati maggiormente “falchi”, come la Germania. L’ESM, in sintesi, non aumenta la solidità finanziaria e la capacità di resistere agli shock dell’area della moneta unica.
Anzi, “è solo un peso, specie per quei paesi come l’Italia, che potrebbero essere chiamati in causa quando si tratta di sborsare aiuti in un periodo delicato in cui sono impegnati a un processo di consolidamento fiscale, e che rimangono invece esposti al rischio di un fallimento dell’ESM in caso di bisogno di finanziamenti esterni”.
In cambio del suo contributo al capitale dell’ESM (21,7 miliardi di euro, la Germania controlla le decisioni del meccanismo di stabilità grazie al diritto di veto. L’Italia ha anch’essa un diritto analogo, in virtù del pagamento di 14,3 miliardi di euro già effettuato e potrebbe in teoria essere chiamata a fornire altri 111 miliardi di euro in caso di bisogno.
Per come è pensato e strutturato oggi l’ESM, interpreta male il significato di “stabilità”. “L’ESM può offrire un aiuto finanziario di ultima istanza ma non gioca un ruolo preventivo o contro ciclico” osserva l’economista. “Questo avviene perché la burocrazia dell’euro opera sotto il presupposto che la causa dei problemi sia da ricercare nel lassismo fiscale dei paesi “ribelli”, piuttosto che nell’incompletezza e nelle distorsioni strutturali dell’Unione Monetaria“.
Riforma ESM: costi e benefici per l’Italia
Per l’Italia, il costo complessivo della garanzia sarebbe 56 miliardi di euro e sarebbe spalmato su un orizzonte di dieci anni. Come si vede nel grafico poco più in alto, a partire dal terzo anno i costi sarebbero compensati interamente dai risparmi che si otterrebbero in termini di pagamenti di interessi sul debito.
Chiaramente i paesi dell’area ‘Core’ trarrebbero anch’essi dei vantaggi dallo schema di condivisione dei rischi, dal momento che l’area euro nel complesso diventerebbe una regione più stabile. Il costo delle garanzie incoraggerebbe una maggiore responsabilità fiscale da parte dei paesi membri. Se è pericoloso concedere nuovi prestiti, gli Spread creditizi si ampliano e bisogna pagare interessi più alti.
“Le nazioni più virtuose saranno inoltre protette dal fatto che non sarebbe possibile ridenominare il debito in altre valute. Un divieto del genere sarebbe troppo punitivo ora come ora, in un mondo in cui i rischi sono segregati lungo i confini nazionali all’interno dell’area euro. Ma eliminando la possibilità di ridenominare il debito il divieto sarebbe ragionevole, una volta che i rischi della regione vengono interamente condivisi: se voglio che la Germania condivida il mio rischio paese, devo anche meritarmi la sua fiducia e rinunciare all’opzione di dire addio all’euro per poter aumentare il mio debito”.
Nel grafico sotto riportato si vede come l’Italia, che con il nuovo schema di condivisione dei rischi diventerebbe il paese a contribuire maggiormente al nuovo meccanismo di stabilità dell’ESM, alla fine dei conti trarrebbe grandi benefici dalla riforma, come conseguenza dell’incremento degli investimenti pubblici.
In deci anni l’Italia pagherebbe 56 miliardi di euro all’ESM come premio di assicurazione. Gli investimenti pubblici associati incrementerebbero il Pil di 150 miliardi di euro in totale. I pagamenti extra all’ESM sarebbero un problema, ma costituirebbero in ogni modo un miglioramento enorme rispetto alla situazione di sfavore attuale. A causa del fiscal compact, del pericolo di un rialzo dei tassi e di una disciplina fiscale troppo prudente sui crediti deteriorati, la finanza non sta aiutando l’economia reale e il bilancio ha perso €100 miliardi di entrate tributarie provenienti da banche e aziende.
L’argomento di Minenna regge: rimane solo da convincere i falchi della Germania e degli altri paesi teutonici virtuosi europei.