Società

La battaglia dei consolati: cosa sta succedendo fra Usa e Cina

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Come promesso, la Cina ha reagito alla richiesta statunitense di chiudere il proprio consolato a Houston (Texas, Usa). La rappresaglia è stata di pari entità: a Washington è richiesto di chiudere il consolato di Chengdu come risposta “legittima e necessaria agli atti ingiustificati da parte degli Stati Uniti”. Per il consolato di Houston i termini stabiliti dagli Usa per la chiusura scadono oggi, 24 luglio (sono state concesse 72 ore dallo scorso martedì).

Quali interessi stanno muovendo questa escalation di tensioni diplomatiche? Partiamo, innanzitutto dalle reciproche versioni dei fatti. Secondo Washington, la richiesta di chiusura del consolato cinese a Houston sarebbe giustificata dalle attività di spionaggio ivi condotte. Secondo il presidente della commissione intelligence del Senato, il repubblicano Marco Rubio, a Houston si troverebbe il nodo del network del Partito comunista cinese sul suolo statunitense. Il Segretario di Stato americano, Michael Pompeo (in foto), si è spinto ad affermare che “se vogliamo un XXI secolo libero, e non il secolo cinese che sogna Xi Jinping, non sarà il vecchio paradigma del coinvolgimento cieco con la Cina a realizzarlo”. E ancora: “Se pieghiamo le ginocchia adesso, i nostri nipoti potrebbero essere in balia del Partito comunista cinese, le cui azioni sono oggi la sfida principale nel mondo libero”.

A queste accuse, ha risposto l’agenzia di stampa statale Xinhua, in un editoriale che ha tutto il sapore di una posizione ufficiale cinese: “Gli Stati Uniti hanno recentemente provocato problemi nei rapporti con la Cina fino a raggiungere il punto dell’isteria… la chiusura non provocata del consolato cinese a Houston da parte degli Stati Uniti non solo ha suscitato l’indignazione del popolo cinese”, si legge, “ma ha anche permesso alla comunità internazionale di vedere il vero volto del bullismo americano”.

Quella del consolato di Houston è, in effetti, solo l’ultima azione repressiva perpetrata ai danni della Cina. Oltre alla ben nota disputa commerciale sui dazi, il cui obiettivo finale sarebbe quello di ridurre il surplus commerciale del Dragone, non va dimenticata l’ostilità americana al progetto della Nuova via della seta, all’installazione di infrastrutture 5G di marca cinese nei vari Paesi alleati di Washington, nonché le chiusure e le sanzioni ai danni di compagnie come Zte e Huawei o a social network come TikTok (in quest’ultimo caso, siamo ancora a livello di avvertimenti).

L’egemonia statunitense, in vari ambiti, è sfidata apertamente da Pechino e la Casa Bianca non sta facendo molto per nascondere il timore che la crescita della Cina potrà compromettere la leadership globale statunitense, peraltro già ampiamente appannata.

“Il discorso di Pompeo è la nuova dichiarazione di Guerra Fredda degli Stati Uniti”, ha affermato al New York Times Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali all’Università Renmin di Pechino, “il mondo è diviso in due: si ricomincia da capo e si portano avanti tutti gli aspetti della competizione e della rivalità con la Cina”.

Questa recrudescenza delle relazioni fra Usa e Cina non potevano che avere ricadute immediate sui mercati: “Il botta e risposta tra Stati Uniti e Cina è tornato a rappresentare il driver principale sui mercati, riportando un sentiment molto negativo tra gli operatori”, hanno commentato gli analisti di Mps Capital Services.