Un’indagine condotta tra consulenti e risparmiatori evidenzia la necessità di curare il rapporto con i clienti per fare fronte al nodo di costi e product governance
Il futuro della consulenza finanziaria è segnato dalle novità operative legate all’entrata in vigore della direttiva Mifid2 che introduce maggiore trasparenza sui costi dei prodotti e servizi e disciplina maggiormente la governance dei prodotti, che devono essere adeguati al profilo di rischio dei clienti.
Per capire cosa pensano consulenti e risparmiatori l’Anasf ha commissionato un’indagine a McKinsey dal titolo “Impatto della Mifid2 sull’industria delle reti” i cui risultati sono stati presentati a Roma nel corso della tre giorni di Consulentia. La ricerca ha coinvolto oltre 10 asset manager con oltre 700 miliardi di euro in gestione in Italia, oltre 800 clienti affluent, 10 top manager delle reti partecipanti a ConsulenTia18 e oltre 700 consulenti finanziari, con un portafoglio in gestione di oltre 16 miliardi di euro.
Il fattore ritenuto più critico dall’industria finanziaria è legato al fatto che nell’ottica della totale trasparenza, con le nuove norme tutti i costi del servizio di consulenza e dell’investimento devono essere resi espliciti, sia in valore assoluto (quindi in euro) sia in valore percentuale. A questo scopo, al cliente va trasmessa un’informativa ex ante e una ex post.
Questo fattore provocherà una progressiva riduzione dei margini reddituali di tutta l’industria che al momento è ancora difficile da quantificare. Il primo invio annuale contenente il dettaglio dei costi sostenuti dal cliente è previsto per gennaio 2019 e i consulenti avvertono al riguardo qualche preoccupazione, come segnala McKinsey.
Come viene scelto il consulente. Dal sondaggio condotto tra gli 800 risparmiatori affluent, è emerso che pricing, brand e consulente rappresentano i fattori più importanti nel determinare la scelta dell’intermediario di riferimento per la gestione degli investimenti. Per i clienti delle reti, è maggiore la rilevanza del brand e del consulente e meno quella dei costi rispetto a quelli che scelgono un istituto di credito tradizionale.
Consulenti su, banche giù. Dalla ricerca emerge che il ruolo del consulente finanziario ne esce valorizzato; il modello di consulenza adottato dalle reti di consulenti si conferma più completo rispetto a quello di alcune banche tradizionali.
Attualmente un consulente finanziario di una rete vanta 100 clienti medi (con asset finanziari maggiori di 10 mila euro) rispetto ai 180 di un consulente che opera presso una banca retail. Bastano questi numeri per spiegare come mai le mandanti negli ultimi cinque anni hanno conosciuto una crescita in termini di raccolta, incrementando anche le loro quote di mercato: nel 2017 il 28% della ricchezza dei risparmiatori affluent risulta affidato al mondo dei consulenti finanziari (+5 punti percentuali rispetto al 2012), il 66% alle banche retail (-7 punti) e un 6% alle banche digitali (+2 punti).
I consulenti chiedono maggiore supporto. Dalle interviste condotte tra oltre 700 consulenti emerge una richiesta di maggiore assistenza da parte della propria mandante in questa fase di cambiamento e una strategia volta a salvaguardare la remunerazione della categoria, scongiurando il rischio che un’eventuale contrazione dei margini si scarichi su uno solo degli anelli della catena del valore. Oltre la maggioranza del campione di consulenti intervistato non si sente, infatti, ancora pienamente indirizzato dalla propria rete, anche se le società affermano di aver già avviato iniziative di formazione per i consulenti, di aver adattato i modelli di servizio e l’offerta prodotti, messo a disposizione un sistema di reporting ancora più trasparente e strumenti tecnologici più efficienti. Ciò che emerge con convinzione è che se le reti riusciranno a educare il cliente sulla qualità del servizio ricevuto, la crescita del settore continuerà a ritmi elevati.
Educare il cliente per crescere. “Se guardiamo all’impatto strategico della Mifid2 a regime, notiamo che in quasi tutti gli scenari analizzati le reti continueranno a registrare una crescita in termini di quote di mercato, in linea o addirittura superiore al recente passato a scapito degli istituti di credito tradizionali. Per fare sì che questa previsione si avveri, l’industria delle reti deve però vincere una grande scommessa: quella legata all’educazione del cliente finale, soprattutto nel segmento affluent, sulla qualità del servizio offerto e al conseguente rafforzamento del brand percepito dal cliente” ha chiarito Alberto Riboni, associate partner di McKinsey.
Secondo al ricerca, grazie a una maggiore educazione della clientela la quota di mercato delle reti potrebbe raggiungere il 41% dal 28% attuale. Quella delle reti bancarie tradizionali nelle stesse ipotesi è destinata a ridursi dal 57 al 46% mentre resterebbe praticamente invariata la quota di mercato delle banche digitali (13). Se le reti riuscissero a dimostrare al cliente la qualità del servizio da loro offerto, la crescita continuerebbe a ritmi elevati riuscendo così anche a compensare la riduzione del pricing medio delle commissioni da raccolta indiretta, che viene stimata nell’ordine del 5 per cento.
Poca consapevolezza dei costi. Attualmente sui costi della consulenza la percezione diffusa tra i risparmiatori non è ancora aderente alla realtà. I consulenti finanziari interpellati da McKinsey si rendono conto del fatto che non tutti i clienti finali hanno capito bene come funziona il meccanismo, ma sopravvalutano il grado di disinvoltura con cui padroneggiano la materia.
Fatto 100 il costo medio attuale applicato ai clienti delle reti, dall’indagine emerge che i rispamiatori affluent lo percepiscono il 25% più basso, ritenendo che sia pari a 75. Invece i consulenti finanziari credono che la sottovalutazione dei clienti si limiti al -16% (84). Gli asset manager interpellati ne hanno una visione più realistica, che corrisponde al -22% (78). In pratica, secondo McKinsey c’è una cifra compresa tra 1 e 1,5 miliardi di euro di ricavi del sistema reti (in termini di costi per i risparmiatori) che oggi non è percepita dai clienti finali.
È proprio la piena consapevolezza dei clienti su questo ammontare che preoccupa i consulenti, visto che l’informativa ex ante dovrà dettagliare le retrocessioni da parti delle società di gestione e che secondo la Mifid2 saranno ammessi e accettati solo in presenza di un adeguato valore aggiunto garantito dal servizio (sono assolutamente vietati i meccanismi di remunerazione che potrebbero spingere i consulenti a raccomandare alcuni prodotti piuttosto che altri più in linea con le esigenze dei clienti).
Dall’indagine emerge anche che senza modifiche sostanziali del pricing il 12% degli attuali clienti dei consulenti potrebbero ridurre significativamente le masse affidate ai professionisti, con un impatto potenziale stimato fino a 12 miliardi di euro. È bene ricordare che per quanto rigurda i costi dei prodotti circa il 30% va alla fabbrica-prodotto e il restante 70% viene retrocesso all’intermediario che colloca il fondo tramite un consulente finanziario.
Cosa attendersi in futuro. Mettendo insieme i pareri di consulenti finanziari, responsabili delle reti, manager delle società di gestione e risparmiatori, è possibile stimare quale satà il reale impatto della Mifid2 in futuro. Secondo il risultato dell’indagine di McKinsey saranno tre le aree sulle quali impatterà maggiormente la direttiva: il ruolo del consulente finanziario, l’offerta al cliente, il modello di lavoro delle reti. Nel primo caso sarà necessario per i professionisti gestire meglio l’emotività del cliente e focalizzarsi sulla crescita dei portafogli.
Per quanto riguarda i clienti la parola d’ordine sarà allargare il servizio finora offerto ipotizzando anche schemi di pricing innovativi (vedi tabella in pagina). Infine sul fronte delle mandanti, la Mifid2 porterà a una diminuzione del numero di accordi di distribuzione con le case terze e quindi delle architetture aperte, a una normalizzazione del recruiting di dipendenti bancari e a una forte enfasi sul digitale per supportare i professionisti nella loro attività quotidiana. Secondo Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf “i consulenti non devono essere gli unici a doversi adeguare alla realtà: le reti di distribuzione devono aprirsi a nuovi modelli, anche associativi, evitando di scaricare sui consulenti una massa di oneri burocratici e non solo. Abbiamo un modello che funziona: investiamoci e valorizziamolo”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del mensile Wall Street Italia