di Benedetta Gandolfi
I nuovi contesti regolamentari e di mercato impongono una ridefinizione dei rapporti tra clienti, consulenti ed sgr. Il dibattito è aperto
Sono passati cinquant’anni dalla nascita della figura del consulente finanziario in Italia. Sono stati decenni di crescita, con grandi soddisfazioni per tutti, professionisti e risparmiatori. Poi è arrivata la battuta d’arresto del 2018, con oltre il 90% delle asset class che hanno avuto performance negative. Proprio il primo anno dell’era Mifid 2.
Non sarà facile
Se negli anni passati le buone performance hanno consentito a tutti gli attori del risparmio gestito di ottenere ritorni positivi e interessanti, dai gestori agli intermediari e dai consulenti alla clientela, difficilmente per gli anni a venire i rendimenti potranno avvicinarsi a quelli precedenti, sia per la pressione sui tassi obbligazionari che per la possibile fine del ciclo dei mercati azionari.
«È logico aspettarsi una forte ridefinizione dei rapporti tra clienti e fornitori dei servizi di consulenza e di asset management»
ha tagliato corto Maurizio Bufi, presidente dell’Anasf nel corso della sesta edizione di ConsulenTia 2019 che ha avuto come titolo “Protagonisti della crescita”.
Tra i temi più caldi dell’evento ci sono stati il ruolo del consulente e la Mifid 2 che, recepita in Italia a inizio 2018, entrerà nel vivo proprio quest’anno quando i clienti riceveranno le rendicontazioni dei loro investimenti in cui si dovranno esplicitare in maniera chiara tutti i costi sostenuti, in percentuale e in valore assoluto.
«Secondo i dettami di Mifid 2, è d’obbligo per le imprese agire non solo in modo professionale ma anche equo e corretto. Le nuove e più analitiche informazioni ricevute dai clienti sui costi dei servizi potranno consentire una migliore valutazione sulla congruenza della prestazione ricevuta e del relativo costo. Ciò offre oggettivamente un supporto normativo alla ridefinizione dei rapporti».
Tutto ciò porterà i risparmiatori a chiedere spiegazione al proprio consulente, a interrogarsi sulla bontà delle scelte fatte in passato, a guardarsi intorno in cerca di strumenti più economici. Con il risultato di far infiammare una guerra dei prezzi che è entrata nel vivo proprio nella seconda parte del 2018. Intanto il settore dell’asset management, a partire dall’affermarsi della gestione passiva nel mercato Usa e in quello dei Paesi più evoluti, è già in piena ristrutturazione. Molte società abbattono drasticamente i costi degli strumenti gestiti, altre si preparano a lanciare strumenti la cui commissione di gestione è collegata al risultato.
Ha precisato Bufi, senza esitare:
«L’industria del risparmio gestito, di cui siamo una parte importante, è chiamata a una prova di maturità. Se saprà rinnovarsi, incrementando l’efficienza e riducendo i costi, potrà continuare a essere protagonista. Viceversa, si avvierà verso un declino progressivo, dopo anni di forte crescita».
Alcune indagini a campione, per quanto non esaustive, assegnano a quelle che si definiscono fabbriche prodotto tra il 30% e il 40% dei costi sostenuti dai clienti e alla distribuzione una quota dal 60% al 70%. Di questa, una parte consistente remunera la rete mentre quella restante è riconosciuta al consulente.
Il futuro della professione
I consulenti finanziari sono l’anello di collegamento tra l’industria del risparmio e il risparmiatore, quando quest’ultimo assume le vesti di investitore e la consulenza è al centro della relazione col cliente. Tuttavia, ha continuato Bufi
«questi rischiano di pagare un costo non dovuto per la nuova trasparenza dei costi. Il cliente potrebbe facilmente credere che è il consulente (con cui ha il contatto personale) a essere il più importante beneficiario dei costi a lui addebitati. Ad oggi, soprattutto in alcune reti di distribuzione, i consulenti hanno visto ridursi la remunerazione, nonostante non ci sia stata ancora una riduzione dei costi per la clientela. La linea di tendenza sembrerebbe essere che l’asset management è sottoposto a un significativo taglio dei ricavi, i banker un pò meno, ma per la maggioranza delle reti non sembra cambiare quasi nulla nei ricavi da commissioni».
Più competenze e più tecnologia
A fronte di margini dell’industria in diminuzione, ci sono spiragli di miglioramento su cui lavorare. Per Bufi,
«il consulente deve accettare le sfide che si pongono di fronte alla sua evoluzione professionale, ovvero aumentare le masse in gestione, attraverso un aumento della produttività, con le nuove tecnologie e con nuove competenze. Al consulente, quindi, il compito di interpretare con dedizione, passione, competenza e responsabilità il proprio ruolo. Ma per svolgerlo deve anche essere adeguatamente remunerato: partecipare ai ricavi da commissioni per almeno un terzo del totale sembra il minimo riconoscimento del suo ruolo fondamentale».
E poi arrivato il monito di Mauro Albanese, direttore commerciali di Fineco Bank:
«non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo della consulenza, senza andare alla ricerca di altre fonti di guadagno. Negli Usa i consulenti hanno una quota di mercato del 67% del risparmio delle famiglie mentre in Italia siamo fermi al 15%. C’è quindi per crescere in questa direzione».
Ha insistito Gianluca Bosisio, direttore generale di Banca Mediolanum:
«Dobbiamo crescere grazie all’apporto della tecnologia e della formazione. Digitalizzazione significa un cambio di processi per mettere a disposizione del consulente tutte le risorse possibili, da quelle amministrative a quelle tecniche. Quanto alla formazione, la Corporate University compie dieci anni: trattasi di 500.000 ore l’anno di formazione per i family banker».
E, a proposito di formazione, da Mario Ruta, direttore commerciale di Allianz Bank è arrivata una considerazione:
«La formazione deve essere rivista andando verso un mondo dove le asset allocation diventeranno una commodity. Il focus per noi ora è su una migliore segmentazione della clientela per offrire servizi diversi e più personalizzati: robo for advisor per la fascia affuent, servizi specialistici per il wealth. Inoltre dobbiamo puntare di più sulla convergenza di protection e investimenti. Con la capogruppo assicurativa abbiamo creato tre centri di consulenza integrata dove collaborano agenti e consulenti».
Stesso discorso per Fabio Cubelli, condirettore generale area di coordinamento Affari Fideuram:
«Siamo protagonisti di un modello di servizio vincente e in continua crescita. Per fare in modo che questo trend prosegua è necessario che tutta l’industria della consulenza continui a investire su un’offerta sempre più specializzata, formazione e recruiting. Il ricambio generazionale dei consulenti è una priorità assoluta ma occorre fare sistema. Anche per il 2019 abbiamo posto un focus sul rafforzamento del nostro team di professionisti. Cito un progetto specifico dedicato: le figure junior, anche con piccoli portafogli, saranno affiancate dai nostri banker più esperti. Un progetto ambizioso che, in sei anni, ha inserito più di 300 giovani, selezionati direttamente dalle università italiane».
Paolo Martini, co-direttore generale di Azimut Holding ha precisato:
«Stiamo puntando al molto dell’economia reale, del non quotato. Abbiamo già raccolto su questa asset class già 600 milioni di euro. Nella nostra strategia ci sarà un focus maggiore sulla tecnologia con una nuova piattaforma multibanca e multi assicurazione. Stiamo studiando anche nuovo contratto per la consulenza patrimoniale a partire da luglio».
E per Dario di Muro, direttore generale di IwBank, il prezzo è un falso problema:
«Non dobbiamo giocare in difesa sui prezzi dei servizi che offriamo. Se c’è del valore nella consulenza non c’è problema di prezzo. Le reti offrono tutti gli stessi prodotti, devono differenziarsi offrendo servizi bancari agli imprenditori».
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.