di Luca Talamonti, formatore comportamentale, professore universitario e autore
Lavoro come formatore comportamentale nell’ambito finanziario da circa 10 anni.
In questo arco tempo, mi sono imbattuto in due tipologie di realtà: quelle che offrono alla propria rete di consulenti finanziari solo formazione tecnica e normativa, e quelle che investono altrettanto in formazione relazionale (le, volgarmente dette, “soft skill”).
Alla base di questo, ovviamente, ci sono delle convinzioni: c’è chi è convinto che basti conoscere l’argomento della consulenza per ottenere risultati, e chi ha capito che la competenza tecnica, da sola, non basta.
In base alla mia esperienza, ho capito questo: entrambe le tipologie di formazione sono fondamentali, ma quella “comportamentale” viene prima.
In che senso “viene prima”?
Nel senso che ci muoviamo in un ambito in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, non si instaura con il cliente una vendita one shot: si tratta, di solito, di rapporti a medio/lungo termine.
Rapporti, tra l’altro, in cui sono in gioco valori profondi dell’essere umano: la libertà (finanziaria, ma non solo), i sogni da realizzare, il futuro da regalare ai propri figli, i risparmi di una vita, faticosamente accantonati.
Pertanto, tali rapporti si basano sulla fiducia, sulla stima, sull’empatia.
Sono rapporti che, spesso, travalicano i confini cliente-consulente e sfociano in qualcosa di più. Rapporti in cui il consulente, oltre a svolgere il proprio ruolo, si trova sovente a svolgere il ruolo di amico, di confidente, perfino di “confessore”, arrivando a conoscere particolari delicati della vita personale e professionale del cliente.
L’importanza della fiducia
Ma come ci costruisce questo rapporto? Come si fa nascere la fiducia?
Certo, ottenendo risultati con i fatti, sicuramente.
Ma tu metteresti in mano i tuoi risparmi, i tuoi sogni, il futuro tuo e delle persone che ami a una persona che è sì preparata dal punto di vista tecnico, ma che non ti ispira “a pelle” fiducia, empatia, finanche simpatia?
Come dicevo, non si tratta di vendere una maglietta, dove la relazione è certo importante, ma tutto sommato limitata al saluto e a poche interazioni successive (nonostante anche in questo campo le aree di miglioramento siano parecchie): qui si tratta di valori innati nell’essere umano, che guidano la nostra vita passata, presente e futura.
Inoltre, è importante fare un’altra riflessione in tal senso: la competenza tecnica, a torto o a ragione, viene data per scontata.
Se chiami un idraulico per sistemarti il lavandino, dai per scontato che sappia cosa fare.
Se chiami un formatore per tenere un corso, dai per scontato che conosca l’argomento.
Lo stesso vale per il cliente quando contatta un consulente finanziario: dà per scontato che tu, la parte tecnica, la conosca a menadito (ripeto: a torto o a ragione, questo fatto viene comunque dato per scontato).
E allora, in un mare di realtà finanziarie dove, spesso e volentieri, i prodotti tutto sommato si assomigliano parecchio (e comunque, pochissimi dei tuoi clienti sono realmente in grado di conoscerne e valutarne le concrete differenze), cosa pensi che faccia la differenza fra scegliere te o un tuo concorrente?
Proprio così: la capacità relazionale, ossia la capacità di “piacere” al tuo interlocutore, di metterlo a suo agio, di farlo sentire capito.
In altri termini, la capacità di ispirargli fiducia, empatia, professionalità in una fase in cui non hai ancora avuto di dimostrare la tua competenza tecnica.
Anche perché, di fatto, se al tuo interlocutore non piaci, non ci arrivi neanche a dimostrargliela, la tua competenza tecnica. Ti liquiderà con i classici “Grazie, non mi interessa”, “Ho già qualcuno che mi segue”, “Nel caso la ricontatto io” e via di questo passo.
Bene, ma in cosa consiste davvero la capacità relazionale?
Si tratta chiaramente di tantissimi elementi, molti dei quali tratto nei miei corsi.
Potremmo dunque parlare a lungo dei vari strumenti a tua disposizione (e lo faremo nei prossimi articoli): dalla PNL, all’Intelligenza Linguistica, alla comunicazione assertiva, alla persuasione, alla leadership, ecc.
Ma ci sono alcuni elementi davvero fondamentali che vanno fatti propri subito, prima ancora di impegnarsi per studiare le tecniche e fare del proprio meglio per metterle in pratica.
Tali elementi sono imprescindibili per qualsiasi professionista che ha a che fare per lavoro con altri esseri umani e ne determinano, in larga misura, l’abilità relazionale. Sono elementi “base”, ma che in pochissimi applicano. Ecco di che si tratta.
Gestire lo stato emotivo
Proprio così: se sei nervoso, triste o arrabbiato, nessuna tecnica di comunicazione funzionerà. Ricorda: prima funzioni tu, poi funzionano le tecniche.
Inoltre, se qualcosa dentro di te non va, il tuo interlocutore se ne accorgerà immediatamente, anche se non ti conosce o conosce poco. Questo avviene perché tutti noi possediamo una ghiandola nel cervello, chiamata amigdala, che, semplificando molto, rappresenta il centro istintivo del cervello, che si occupa di captare eventuali segnali di pericolo, facendo reagire la persona con i classici meccanismi di attacco, blocco o fuga.
Quando l’amigdala nota un contrasto fra la comunicazione verbale (ciò che dici) e quella paraverbale e non verbale (come lo dici), emette un segnale di allarme che, nella migliore della ipotesi, farà pensare al tuo interlocutore che “a pelle” qualcosa non lo convince.
Inoltre, ricorda che tutti noi possediamo i famosi neuroni specchio: se sei nervoso, triste o arrabbiato, trasmetterai questo e riceverai questo… con gli interessi.
Chiaramente, non sto parlando di tragedie: sto parlando di quelle “giornate no” che capitano a tutti, quelle in cui magari ci si alza “con il piede sbagliato”.
Ecco, i consulenti mediocri, in questi casi, annullano gli appuntamenti.
I veri professionisti, invece, si mettono in stato (tecnicamente si dice così) e poi vanno agli appuntamenti.
Esistono decine di modi per mettersi in stato: dalla respirazione diaframmatica, agli esercizi di visualizzazione, passando per l’ascolto di una canzone che ci fa stare bene, arrivando al farsi una corsetta, mangiare qualcosa di sfizioso, parlare con una persona cara o… usare specifici strumenti di Programmazione Neuro Linguistica (PNL).
Il tema è ampio, qui la cosa importante è capire che, prima di fare qualsiasi cosa, devi stare bene.
Moltissime tecniche di comunicazione riguardano il cosa dire e il come dirlo. Tutto ottimo, peccato che pochissimi insegnino che la miglior tecnica di comunicazione si chiama “ascolto attivo”.
L’ascolto attivo
Oh sì, so cosa stai pensando: “Faccio questo lavoro da anni, me l’hanno detto decine di formatori e io lo so fare benissimo”.
È la stessa cosa che pensano le persone che ho in aula quando, dopo essermi presentato per qualche minuto, apro il discorso sull’ascolto attivo. A quel punto, fornisco loro un foglio che contiene alcune domande sulla presentazione di me stesso che ho appena fatto e… indovina? La maggior parte delle persone riesce a rispondere correttamente solo a poche di loro.
Quindi: lo so che lo sai, ma lo fai?
Attenzione, poi: “ascoltare” è molto diverso da “sentire” o “aspettare il proprio turno per parlare”.
L’ascolto attivo si compone di vari elementi: attenzione, concentrazione, postura adeguata… tutte cose fondamentali, ma scontate.
I pilastri dell’ascolto attivo sono ben altri: ricordo, assenza di giudizio, generosità. Vediamoli brevemente.
Ricordarsi a distanza cosa ti aveva detto una persona ti farà guadagnare subito mille punti, perché percepirà che non l’hai trattata come un numero, bensì come un essere umano unico e speciale, come ognuno di noi ritiene di essere.
Evitare di giudicare, cadendo preda dei pregiudizi (che tutti abbiamo), eviterà che la tua comunicazione para e non verbale possa trasmettere segnali distorti o controproducenti all’interlocutore.
Essere generosi significa che, in una relazione lavorativa ottimale, bisogna parlare per il 20% e ascoltare per l’80%, con tutti i vantaggi del caso.
Ogni punto appena espresso necessita chiaramente vari approfondimenti, ma è importante avere qui delle linee guida da cui partire subito.
Chiedersi costantemente se ciò che stiamo dicendo è interessante per chi ascolta.
Di solito, infatti, in certi casi procediamo col “pilota automatico”: ripetiamo la lezioncina, stordendo di parole il malcapitato di turno. Il che, fa ovviamente a pugni con il punto dedicato all’ascolto attivo.
E c’è di più: come sempre accade, noi giudichiamo le cose in base alla nostra “mappa del mondo”: abbiamo le nostre idee circa cosa è importante, cosa è interessante, cosa è giusto, ecc.
Il fatto è che, spessissimo, la mappa dell’altro non coincide con la nostra. Il che significa che l’altra persona ha probabilmente un’altra idea di cosa sia importante, interessante, giusto, ecc.
Dunque, prima di sproloquiare e ottenere risultati ben poco piacevoli, è bene chiedersi costantemente: “Quello che sto dicendo interessa davvero all’altra persona?”. Eventualmente, la cosa si può anche chiedere esplicitamente, non tanto chiedendo “Le interessa parlare di questo?” (perché in questo caso molti, solo per pura cortesia, potrebbero rispondere affermativamente), bensì chiedendo altre cose, tipo “Cosa le interessa di più in questo contesto?”, “Quali sono i criteri per lei importanti”, “Che caratteristiche deve avere il servizio?”, ecc. Sono ovviamente domande generiche, che lascio a te contestualizzare e adattare alla situazione specifica.
Dunque, pensi ancora che le competenze relazionali siano poco o per nulla importanti?
E soprattutto, metti già in pratica i suggerimenti che ti ho dato?
Se così non è, ricorda che non è mai troppo tardi per migliorare se stessi: ci vuole impegno, costanza e allenamento, certo, ma i risultati valgono sicuramente il giro sulla giostra.
Quindi… comincia subito!