Il mercato del lavoro italiano sta continuando la sua lenta risalita. Nonostante il Pil sia diminuito dello 0,3% nel secondo trimestre, a giugno 2023 l’Istat – Istituto Nazionale di Statistica ha certificato un aumento di 82mila posti di lavoro. Questo incremento è stato principalmente tra gli uomini, con un aumento di 52mila posti, mentre tra le donne l’aumento è stato meno significativo, pari a 30mila posti.
Il tasso di occupazione è salito al 61,5%, e il numero totale di occupati ha raggiunto 23 milioni e 590mila. Ma quello che salta all’occhio è che, dopo mesi di segni negativi, il mercato del lavoro italiano sta finalmente mostrando segnali positivi, con la crescita dei contratti a termine dello 0,9%, pari a 26mila lavoratori in più. Tale aumento è maggiore di quello dei dipendenti permanenti (+0,5%) e della diminuzione degli autonomi (-0,3%).
L’aumento dei contratti a termine: il fattore estate
Le cause di questo aumento dei contratti a termine possono essere molteplici: uno dei motivi può essere la stagione estiva. Alcune industrie o settori dell’economia sono fortemente influenzati dai cambiamenti delle stagioni, come il turismo, l’agricoltura, gli stabilimenti balneari, i parchi tematici e gli eventi estivi come concerti e festival che tendono ad essere più attivi durante l’estate e quindi più interessati ad assumere una persona con un contratto a termine. Ma stessa cosa accade nelle aziende, con molte persone regolarmente impiegate che vanno in ferie e che portano l’azienda ad assumere lavoratori a tempo determinato per coprire le posizioni vacanti. Inoltre, l’estate è un periodo in cui gli studenti universitari e delle scuole superiori sono spesso liberi dagli impegni accademici e molti di loro cercano lavoro temporaneo per guadagnare soldi extra e acquisire esperienza lavorativa durante le vacanze estive.
In generale, la stagione estiva offre diverse opportunità lavorative a tempo determinato, poiché molte attività diventano più attive e c’è una domanda maggiore di servizi e manodopera in vari settori. I contratti a termine possono essere vantaggiosi sia per i datori di lavoro, che possono rispondere in modo flessibile alle esigenze stagionali, che per i lavoratori, che possono ottenere un’occupazione temporanea e guadagnare esperienza lavorativa senza impegni a lungo termine.
Il decreto lavoro tra le cause degli aumenti?
Un altro fattore determinante per l’aumento dei contratti a termine può anche essere il decreto lavoro, varato dal governo Meloni il 5 maggio del 2023.
Bisogna specificare che per per confermare se il decreto lavoro abbia avuto un effetto significativo sulla crescita dei contratti a tempo determinato e sull’occupazione in generale si devono aspettare ulteriori dati nei prossimi mesi. Tuttavia, è possibile ipotizzare che il cambiamento normativo, che ha allentato le restrizioni sulle causali per stipulare i contratti a termine, abbia contribuito alla crescita di tali contratti.
L’aumento di 26mila contratti a tempo determinato in un solo mese potrebbe indicare che le nuove regole stiano incoraggiando le aziende ad assumere più lavoratori con questo tipo di contratti. Allo stesso tempo, è incoraggiante notare che i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti di 72mila unità, segnalando una ripresa occupazionale anche per i lavori stabili.
Le modifiche del decreto lavoro per i contratti a tempo determinato
Il decreto lavoro ha modificato la disciplina dei contratti a termine in due fasi. Inizialmente, tramite l’articolo 24, entrato in vigore il 5 maggio 2023, ha rivisto le causali per estendere la durata dei contratti a termine da 12 a un massimo di 24 mesi. Successivamente, con la conversione in Legge dal 4 luglio 2023, ha equiparato le previsioni riguardanti il rinnovo dei contratti a termine alle proroghe e introdotto una “data zero” per il conteggio dei 12 mesi acausali.
Le tre possibilità per sforare il limite dei 12 mesi sono:
- Nei casi previsti dai contratti collettivi;
- In mancanza di disposizioni nei contratti collettivi entro il 30 aprile 2024, per esigenze tecniche, organizzative o produttive;
- In sostituzione di altri lavoratori.
Dopo l’esaurimento dei 12 mesi di contratto a termine acausale, i datori di lavoro devono verificare se esistono disposizioni nei contratti collettivi per il rinnovo o la proroga. In mancanza di tali previsioni, devono concordare con i dipendenti interessati per iscritto le ragioni che giustificano la continuazione del rapporto di lavoro, specificando con precisione le esigenze tecniche, organizzative o produttive che rendono necessario il rinnovo o la proroga.
Il decreto Lavoro introduce anche un “punto zero” per il conteggio dei 12 mesi di contratti a termine, che inizia a decorrere dal 5 maggio 2023. Ciò significa che i contratti stipulati prima di questa data non rientreranno nel calcolo dei 12 mesi.
Infine, gran parte delle disposizioni sul lavoro a termine, regolato dal Capo III del Dlgs 81/2015, resta invariata, inclusi i limiti e i divieti sull’utilizzo di contratti a termine, le regole sulla stagionalità, il numero massimo di proroghe (4 nell’arco di 24 mesi) e il diritto di precedenza.
Il fatto che il rinnovo del contratto a termine possa avvenire senza causale, purché non superi i dodici mesi, potrebbe aver dato maggiore flessibilità alle aziende nel gestire il personale e potrebbe aver contribuito al rilancio dei contratti a tempo determinato.
Oltre ai contratti a termine, aumentano gli occupati
Il numero di lavoratori autonomi continua a diminuire, con una perdita di altre 14mila unità a giugno. La maggiore crescita dell’occupazione si registra nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, con un aumento di 36mila occupati, ma si osserva anche un incremento tra gli over 50, con un aumento di 31mila lavoratori. Anche considerando il fattore demografico, i giovani under 35 continuano a guidare la crescita del mercato del lavoro con un tasso di crescita del 3,4%, sebbene a un ritmo più lento rispetto al rimbalzo post Covid.
La disoccupazione diminuisce, con il tasso di disoccupazione totale che si riduce al 7,4%, il livello più basso degli ultimi 14 anni, e il tasso di disoccupazione giovanile che scende al 21,3%. Gli inattivi diminuiscono, tranne tra i giovani, in cui il numero rimane sostanzialmente stabile.