Economia

COP28: anche l’Italia cade nello spartiacque tra dire e fare

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Da giovedì 30 novembre è in corso a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, la 28ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), la cui fine è prevista per martedì 12 dicembre 2023. La 28° edizione ha sollevato delle perplessità fin dal principio, dal momento che il Paese in cui si sta svolgendo è il settimo produttore di petrolio al mondo e, tra i punti dell’agenda, oltre alla creazione di un fondo per il clima per le perdite e i danni e l’erogazione di finanziamenti globali per il clima, ci sono l’eliminazione graduale dei combustibili fossili e il primo “Global Stocktake”, che mira a fornire la prima valutazione completa dei progressi compiuti nella decarbonizzazione globale dopo la firma dell’Accordo di Parigi nel 2015 (ogni Stato deve dichiarare i progressi compiuti rispetto agli impegni assunti per la riduzione delle emissioni).

Ricordiamo che gli Accordi di Parigi mirano a limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius, e preferibilmente a 1,5 gradi, rispetto ai livelli preindustriali. Tuttavia, l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite calcola che il mondo si sta dirigendo verso i 2,4 gradi. Tutti i governi devono dunque affrettare le politiche, ma dato l’attuale panorama politico, è improbabile che si assista a una svolta importante in questo senso durante questo primo appuntamento formale (i prossimi saranno ogni cinque anni). Sono soprattutto i Paesi ad alte emissioni come l’India, la Cina e il Canada a dover compiere ulteriori passi. Anche la Russia deve fare di più. C’è poi la questione dell’effettivo rispetto degli impegni esistenti. I Paesi industrializzati, tra cui l’UE e gli Stati Uniti, hanno fissato dei buoni obiettivi, ma non siamo sulla buona strada per raggiungerli. Quindi, è indubbio sia necessario un maggiore impegno da parte di tutti.

Finora al summit della COP28 il focus è stato sulle fonti energetiche alternative ai combustibili fossili per combattere i cambiamenti climatici, in particolare il nucleare, il cui rilancio è tornato al centro del dibattito nella comunità internazionale. Sono una ventina i Paesi, tra cui Stati Uniti, Francia e Regno Unito, che hanno stretto un patto con l’obiettivo di triplicare entro il 2050 la produzione di energia atomica. Perché il nucleare “pulito”, quello di ultima generazione, viene appunto visto come l’alternativa più potente in grado di garantire uno sviluppo futuro davvero sostenibile. L’annuncio, a cui hanno aderito anche i padroni di casa del summit, gli Emirati Arabi Uniti, è stato dato dallo “zar” del clima della Casa Bianca, John Kerry, e dal presidente francese, Emmanuel Macron.

Quanto agli investimenti, alla COP28 sono stati annunciati da entrambe le sponde dell’Atlantico. “Nei prossimi due anni investiremo 2,3 miliardi di euro dal bilancio dell’UE per sostenere la transizione energetica nel nostro vicinato e in tutto il mondo”, ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. I fondi si integrano “con l’iniziativa Global Green Bond da un miliardo”, annunciata a giugno, ha sottolineato von der Leyen, evidenziando che l’UE e i Paesi membri sono impegnati a investire “oltre 20 miliardi nella cooperazione energetica solo in Africa”.

Anche l’Italia è dunque protagonista nel processo di decarbonizzazione globale,in modo pragmatico con un approccio che rispetta la neutralità tecnologica libero da radicalismo: se vogliamo essere efficaci serve una sostenibilità ambientale che non comprometta la sfera economica e sociale, una transizione ecologica non ideologica”, ha tenuto a sottolineare Giorgia Meloni nel suo intervento in plenaria alla COP28. La presidente del Consiglio ha poi aggiunto: “E dobbiamo costruire passi che siano veloci ma che sia possibile centrare perché se noi continuiamo a darci degli obiettivi che sono irraggiungibili ci ritroveremo qui tra 5 anni e scopriremo che non li abbiamo raggiunti”.

L’Italia nell’ambito della COP28 ha sottoscritto con l’Etiopia un nuovo “Memorandum of Undestanding” che rilancia la cooperazione tra i due Paesi. Nel dettaglio, sono stati approvati sei progetti, per un impegno finanziario totale del Mase pari a circa 7,2 milioni di euro. La sottoscrizione dell’atto è avvenuta nell’ambito dell’incontro bilaterale tra il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto e il ministro della Pianificazione e dello Sviluppo etiope, Fitsum Assefa. Il nuovo atto prevede progetti per la riduzione della Co2 e l’adattamento al cambiamento climatico. Tra questi, l’introduzione di pratiche agricole volte a favorire l’adattamento delle popolazioni locali e la fornitura di un sistema di captazione delle risorse idriche negli stati regionali di Somali e di Afar.

Nonostante le parole di concretezza della Premier Meloni, anche il Belpaese però non è esente dallo spartiacque che divide dire e fare. L’Italia si è infatti aggiunta in corsa, con un importo di 100 milioni di dollari, ai Paesi che hanno dichiarato i primi impegni finanziari a favore del fondo dedicato alla riparazione di perdite e danni (loss & damage) che, dopo 30 anni di richieste e battaglie da parte del Sud del mondo, è stato reso operativo, senza remore né revisioni, a poche ore all’inizio della conferenza presieduta dagli Emirati Arabi Uniti, che contribuiranno al fondo con 100 milioni di dollari. I 100 milioni italiani si aggiungono ai contributi di 225 milioni di dollari versati dall’Unione Europea, ai 100 milioni dalla Germania, ai 100 milioni dalla Francia, ai circa 75 milioni dal Regno Unito, 10 milioni dal Giappone e 17,5 milioni di dollari dagli Stati Uniti.
Proprio la nostra Italia, però, con Tecnimont e Saipem (del gruppo Eni) il 6 ottobre aveva firmato un contratto con Adnoc da 17 miliardi di dollari, di cui 13 in capo alle due imprese italiane, per lo sfruttamento di due giacimenti offshore di gas (Hail e Ghasha).

Ricordiamo che il fondo globale per le perdite e i danni mira a creare un fondo globale che aiuti i Paesi che soffrono di danni legati alle condizioni meteorologiche, come inondazioni, incendi boschivi o siccità. I Paesi in via di sviluppo vogliono che i Paesi sviluppati che storicamente hanno generato la maggior parte delle emissioni paghino anche per i danni e questo ha generato sempre tensioni, quindi un risultato molto positivo per la COP28. Che però presenta ancora punti critici. Su tutti: il ruolo della Banca Mondiale nella gestione del fondo e la decisione di rendere volontari e non obbligatori i finanziamenti dei Paesi, il mancato riconoscimento del principio di giustizia climatica, l’assenza di una quantità di finanziamenti da raggiungere come obiettivo, le difficoltà a mantenere le promesse in tema di finanza climatica.