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Corriere della Sera: destino appeso a un filo

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ROMA (WSI) – La sorte del Corriere della Sera è di fatto nelle mani del ras della sanità lombarda, Giuseppe Rotelli, in queste ore alle prese con i problemi dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Il suo voto insieme a un altro pugno di azioni è infatti indispensabile per il via libera alla ricapitalizzazione dell’editrice del quotidiano, Rcs Mediagroup, che sarà all’ordine del giorno dell’assemblea straordinaria del prossimo 30 maggio.

Dopo gli attacchi di Diego Della Valle all’operazione, infatti, proprio su Rotelli che ha in mano il 16,55% della società si stanno concentrando le diplomazie dello zoccolo duro degli azionisti del Corriere.

In prima linea Fiat, Intesa Sanpaolo e Mediobanca, che stanno orchestrando il salvataggio dell’editrice facendo, nel caso delle banche, un continuo slalom tra i conflitti d’interesse rappresentati dal doppio ruolo di creditori, soci di Rcs e garanti della ricapitalizzazione fino a 600 milioni di euro, 400 dei quali attesi entro il 31 luglio.

Fondamentale, infatti, per loro che il fronte del dissenso non superi i due terzi del capitale sociale, pena la bocciatura dell’operazione con conseguenze che potrebbero portare la società al capolinea. Salvo una mediazione sui termini dell’aumento che, alle condizioni finora emerse, si prefigura come molto diluitivo per chi non dovesse sottoscriverlo. Finora a formalizzare il dissenso sono stati solo Della Valle affiancato dalla famiglia Benetton che complessivamente rappresentano il 13,8 per cento del capitale di Rcs.

La conferma è arrivata dalla stessa società che, in sede di consiglio di amministrazione domenica 28 aprile, ha preso atto dell’”indisponibilità” di DI.VI. Finanziaria di Diego Della Valle, Dorint Holding ed Edizione “ad approvare un’operazione di ricapitalizzazione così strutturata”.

Indisponibilità confermata dopo che nelle scorse settimane il patron della Tod’s aveva prefigurato un’azione di responsabilità nei confronti dei vertici di Rcs per la struttura del piano di salvataggio della società che, a suo parere, più che allo sviluppo dell’azienda pensa a rimborsare le banche alle quali è destinata più della metà (225 milioni) della prima tranche di 400 milioni di aumento di capitale a rimborso parziale del debito pregresso.

E intanto la situazione dell’azienda non accenna a migliorare. In base ai dati annunciati lunedì 29 aprile, la capogruppo Rcs spa ha chiuso il trimestre con un rosso di 78 milioni di euro, che si confronta con la perdita di 6,1 milioni dello stesso periodo del 2012 che a fine anno era lievitata a quota 497 milioni sforando a metà anno il tetto del terzo del patrimonio, situazione che ha reso necessarie per legge misure urgenti sul capitale, pena il Tribunale fallimentare. Tra dicembre e marzo, inoltre, il patrimonio della società è sceso da 215,5 a 138,8 milioni.

Il consiglio proporrà l’utilizzo di riserve per 284,1 milioni e la riduzione del capitale sociale da 762 milioni a 139,3 milioni, con il raggruppamento delle sole azioni ordinarie nel rapporto di 3 nuove azioni ordinarie ogni 20 azioni ordinarie.

A seguire, appunto, la ricapitalizzazione. E se sul fronte dei voti si attende appunto Rotelli – mentre poco potrebbe cambiare con la conversione delle azioni di risparmio in ordinarie all’ordine del giorno dell’assemblea del 24 maggio, ma che valgono poco più del 3% del capitale – su quello del denaro i conti invece tornano. I grandi soci, infatti, si sono impegnati a coprire almeno 200 milioni di euro, cui vanno aggiunti quasi 180 milioni messi sul piatto dalle banche del consorzio di garanzia che include le stesse Mediobanca e Intesa via Banca Imi.

In dettaglio, all’interno del patto che ha in mano il 58% di Rcs, il 44% ha garantito l’impegno a sottoscrivere l’aumento. Si tratta di Mediobanca, Fiat, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Mittel ed Edison.

La lista include anche Fondiaria Sai, il cui nuovo azionista di riferimento, la Unipol delle Coop, ai tempi del subentro ai Ligresti aveva dichiarato di non essere interessata ai “salotti”, mentre ora è pronta a mettere sul piatto una ventina di milioni di euro.

Un bell’impegno, insomma, ma niente a confronto della Fiat che oltre alla quarantina di milioni di sua spettanza, ha dato la disponibilità per altri 11 milioni. Nel solo ruolo di azionista, invece, Intesa Sanpaolo spenderà una ventina di milioni ed è pronta a metterne altri 10, mentre Mediobanca si ferma ai suoi 55 milioni.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Fatto Quotidiano – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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“Un trimestre non spettacolare. Onestamente, speravamo in qualcosa di meglio”. Questo il commento a caldo dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, sui conti del gruppo auto dei primi tre mesi dell’anno. Che hanno registrato un crollo degli utili a 31 milioni di euro. Cioè 231 milioni in meno del 2012 e quasi 20 in meno della cinquantina di milioni che il Lingotto è pronto a investire nell’aumento di capitale del Corriere della Sera di cui potrebbe tornare a essere il primo azionista.

In calo anche il fatturato che in un anno è diminuito di 464 milioni a 19,8 miliardi, mentre i margini sono scesi da 1,86 a 1,65 miliardi e il debito netto in soli tre mesi è lievitato di oltre 800 milioni a quota 10,412 miliardi di euro, “per effetto dell’assorbimento stagionale per Fiat esclusa Chrysler, parzialmente compensato dal flusso positivo di Chrysler”, secondo quanto dichiarato dal Lingotto nella nota che ha annunciato i conti.

Sui margini, invece, ha pesato il minor risultato della gestione ordinaria in Nord e Sud America, aree che “hanno riportato rispettivamente un calo dell’Ebit del 36% a 400 milioni e del 46% a 127 milioni (che include 59 milioni di euro di oneri atipici per gli effetti della svalutazione nel febbraio 2013 del bolivar fuerte Venezuelano nei confronti del dollaro Usa)”. Salgono, invece, i ricavi dei marchi di lusso e sportivi sono aumentati del 4% a 700 milioni, trainati da Ferrari.

“L’ultima volta che ho controllato il conto c’erano i soldi”, ha detto in ogni caso Marchionne riferendosi alla fusione tra Fiat e Chrysler per ribadire che Torino ha abbastanza liquidità per acquistare la casa di Detroit. Nonostante il contenzioso con i sindacati americani sul prezzo della loro quota nella società in corso presso il tribunale del Delaware, dove il giudice federale propende al momento per la posizione del fondo dei metalmeccanici Usa che chiedono quasi tre volte tanto quanto la Fiat è disposta a pagare. Sul tema Marchionne ha risposto che il giudice era molto preparato e che i legali Fiat hanno presentato i loro punti. Il dialogo con il Veba va avanti: i contatti sono regolari ma “sarebbe prematuro da parte mia suggerire” che un accordo è vicino, ha detto.

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