Economia

Corruzione: è il vero cancro del business in tutto il mondo

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ROMA (WSI) – La corruzione e’ tuttora il costo maggiore che pesa sul business internazionale. Quasi un’azienda su tre in tutto il mondo snobba alcuni paesi proprio perché non vuole correre il pericolo di dover sottostare a pratiche corruttive.

E’ la conclusione a cui arriva un rapporto di Control Risks, società di consulenza globale professionale in particolare nel settore assicurativo.

Il 30% delle imprese afferma di non aver deciso di fare affari in alcuni paesi proprio a causa del rischio di dover sottostare a pratiche corruttive, mentre per il 41% (il 55% in Africa) tale rischio e’ stato il motivo per cui hanno deciso di uscire da un business per il quale avevano gia’ speso tempo e fondi. Il 34% delle imprese africane del campione interpellato indica di aver perso un’offerta perché sono stati favoriti concorrenti attraverso grazie alla corruzione.

Buone notizie invece arrivano dai dati sugli investimenti delle società italiane all’estero. Dal rapporto stilato dal Centro studi ImpresaLavoro, realizzato grazie allàelaborazione di dati Bankitalia e Istat, emerge che il fatturato complessivo generato da questi investimenti è stato di oltre 560 miliardi di euro.

“Il valore dello stock di investimenti italiani in aziende con sede all’estero ha toccato nel 2014 quota 547,6 miliardi di euro, riguardando 30.351 imprese italiane, che danno lavoro a oltre 1,5 milioni di dipendenti (dati 2013)”.

“Le recenti acquisizioni di Pirelli da parte di China National Chemical Corporation e di ItalCementi venduta al gruppo tedesco Heidelberg Cement – spiega una nota – hanno riacceso il dibattito sullo shopping di investitori stranieri a danno delle imprese italiane. Premesso che gli investimenti stranieri in Italia costituiscono in ogni caso un ottimo segnale per il sistema Paese, va comunque sottolineata l’altra faccia della medaglia, ovvero il numero sempre crescente di investimenti italiani fuori dai nostri confini e con nostre imprese presenti in oltre 160 Paesi: il 52% dislocate nei Paesi dell’UE-27, un 10% in altri Paesi europei, un altro 19% tra Nord America (11%) e Sud America (8%)”.

“Fin dagli anni Novanta il flusso in uscita dalle aziende italiane verso l’estero e’ sempre stato superiore al flusso in entrata: le nostre imprese hanno cioe’ investito le proprie risorse per acquisire il controllo (parziale o totale) di aziende straniere in misura maggiore di quanto abbiano fatto le imprese estere nel nostro Paese”.

“Dopo un allineamento registrato a inizio secolo – aggiunge lo studio – con l’inizio della crisi (2008) la situazione e’ migliorata dal punto di vista delle imprese italiane che fanno ‘shopping’ all’estero: mentre il flusso in entrata si stabilizzava rispetto al Pil (che ricordiamo e’ sceso dal 2008 al 2014), il flusso in uscita cresceva in termini di PIL del 10% circa”.

L’analisi del Centro studi ImpresaLavoro “mostra inoltre come, in termini di stock di investimento, dal 1995 al 2010 il peso del settore manifatturiero sia sceso dal 29,7% al 18,1% per lasciare maggior spazio agli investimenti nel settore dei servizi e costruzioni (passati dal 64,8% all’81,4%), con particolare interesse verso i servizi finanziari e assicurativi, che nel 2010 rappresentavano il 54,3% dell’intero stock di Ide (pari a poco meno di 200 miliardi di euro su un totale di 366 miliardi)”.

Infine, “la forbice fra gli stock di investimenti in uscita e in entrata nel nostro Paese e’ aumentata considerevolmente dal 2005 a oggi, passando da un valore positivo di circa 6 miliardi a uno addirittura di 143 miliardi di euro”.