ROMA (WSI) – Nemmeno versando il 5 per mille il cittadino italiano è sicuro di vedere arrivare i soldi sborsati a destinazione.
Tra il 2009 e il 2011, infatti, sono venuti a mancare all’appello 200 milioni di euro del contributo Irpef che viene devoluta ad associazioni ed enti del terzo settore e della ricerca. Le autorità hanno scoperto che tale somma non è stata liquidata alle attività socialmente rilevanti come invece indicato dai contribuenti.
Ma dove è finita allora? È stata dirottata direttamente nelle casse statali. Per l’esattezza, il 20% dei versamenti ha finito per prendere tale strada. La ragione principale dell’impiccio? Le “limitate disponibilità finanziarie”.
La Corte dei Conti è molto dura nel suo report in cui vengono analizzate le cause e modalità del fenomeno anomalo: è “grave che il patto tra Stato e cittadini venga sistematicamente violato”.
Il 5 per mille è la parte dell’Irpef che il contribuente decide di destinare alle attività socialmente rilevanti che preferisce. Il contribuente può indicare il codice relativo all’associazione o organizzazione nella dichiarazione dei redditi.
Secondo l’organo di controllo in materia di entrate e spese pubbliche, tuttavia, “molte organizzazioni, pur non avendo finalità di lucro, non producono alcun tipo di valore sociale, rivolgendosi esclusivamente ai soci o iscritti, senza rispondere a criteri di misurabilità dell’utilità sociale”.
La soluzione per riportare le cose alla normalità sarebbe a portata di mano. “Al fine di garantire la piena esecuzione della volontà e della libera scelta dei contribuenti – dice la Corte dei Conti – andrebbe eliminato il tetto di spesa, in maniera tale che l’attribuzione del 5 per mille dell’Irpef non si traduca in una percentuale, di fatto, minore”.
Due anni fa i beneficiari dell’ammontare devoluto dai contribuenti erano oltre 50 mila, troppi secondo la Corte dei Conti, secondo la quale “s’impone una più rigorosa selezione, al fine di non disperdere risorse per fini impropri” ed evitare così una “frammentazione e dispersione delle risorse”.
“Se, per motivi di bilancio, ciò non fosse possibile, al tetto sarebbe, comunque, preferibile una riduzionedella percentuale attribuibile. Infatti, risulta grave che il patto tra Stato e cittadini venga sistematicamente violato, analogamente a quanto accade per la quota dell’8 per mille dicompetenza statale, che, sempre per motivi di bilancio, viene, spesso, dirottato su altre finalità rispetto a quelle stabilite dai contribuenti”.
La differenza tra l’importo attribuito dai contribuenti (quanto destinato al 5 per mille dai cittadini) e l’importo liquidabile (quanto effettivamente destinato alle attività indicate dai contribuenti), è salito nei tre anni dal 2009 al 2011, per una forbice di prezzo che ammonta a circa 200 milioni.
Nel 2011, ad esempio, a fronte di 487 milioni destinati dai contribuenti, ne sono stati liquidati meno di 400. Il 20% in meno, per l’appunto, una discrepanza percentuale già vista nel 2010.
Entrando più nello specifico, nel lungo documento la Corte sottolinea inoltre come le risorse per la tutela dei beni culturali paesaggistici, anziché verso enti di diritto pubblico, la cui partecipazione viene preclusa, vengano “dirottate su enti privati spesso non specializzati nel campo del restauro e della conservazione, che sviluppano, peraltro, spesso, progetti assai discutibili e, pertanto, poco interessanti per i contribuenti”.
(DaC)