Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Fondo Salva Stati) è stato il protagonista del dibattito politico dell’ultima settimana. Wall Street Italia ha deciso di fare chiarezza su questa materia complessa. La sfida è riassumere i tratti fondamentali del Mes in dieci domande, e relative risposte, riportando soltanto i dati documentati e verificabili. Partiamo.
1. Cos’è il Meccanismo europeo di stabilità?
E’ un’istituzione finanziaria intergovernativa. Non è un ente compreso nel diritto dell’Unione Europea. Esso nasce su impulso del Consiglio europeo nel 2011, lo ha istituito un trattato stretto fra gli Stati nazionali che vi hanno aderito, che sono i 19 membri dell’Area euro. L’obiettivo del Mes, recita il trattato, è “quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del Mes che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della Zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri”.
La sua funzione, dunque, non è lontana da quella del Fondo monetario internazionale; anche se nel caso del Mes il compito esplicito è quello di preservare la stabilità di un’area economica specifica, quella dell’Eurozona. Il Mes, infatti, nacque in un momento in cui le crisi dei Paesi mediterranei avevano fatto temere una dissoluzione della moneta unica.
Per questo la presenza del Mes costituisce, nelle intenzioni, un deterrente alle speculazioni finanziarie finalizzate a lucrare su un’eventuale uscita dall’euro di uno dei Paesi dell’Eurozona. Il trattato è disponibile online in lingua italiana.
2. Chi controlla le decisioni del Mes?
Due organi principali: il consiglio dei Governatori e il consiglio degli Amministratori. Ciascuno è composto da un rappresentante di ogni Paese membro dell’Area euro. Nel caso del Consiglio dei governatori è obbligatorio che si tratti del ministro dell’Economia e delle Finanze di ciascun esecutivo nazionale. Per l’Italia siedono Roberto Gualtieri, nel primo organo, e il direttore del Tesoro italiano Alessandro Rivera, per il consiglio degli Amministratori.
Le decisioni di tipo esecutivo vengono assunte dal consiglio dei Governatori con voto unanime, se in gioco c’è l’erogazione di prestiti finanziari, pertanto anche l’Italia gode di diritto di veto. In casi di eccezionale urgenza tali da minare “la sostenibilità finanziaria della Zona euro”, è sufficiente una maggioranza dell’85% dei voti espressi.
3. Quanto ha pagato l’Italia per costituire il Mes finora?
L’Italia ha pagato sotto forma di capitale 14,33 miliardi di euro, pari al 17,79% del capitale totale del Mes. In verità, è improprio definire questo contributo come “pagamento” dal momento che il Fondo Salva Stati non regala denaro, ma emette prestiti condizionati.
Pertanto, nell’esercizio delle sue attività, il Mes produce anche profitti che possono essere, a discrezione del board, distribuiti agli Stati. L’anno scorso il Mes ha realizzato utili per 284 milioni di euro; virtualmente all’Italia spetterebbero 5,06 milioni, pari al 1,98% del capitale versato.
4. La sua riforma si può modificare, è già stata approvata?
La riforma non si può modificare, ma non è ancora stata approvata. Il trattato internazionale viene negoziato a livello governativo e non parlamentare. I parlamenti nazionali hanno facoltà di non ratificare il trattato di revisione del Mes. Se anche solo uno di essi lo respingesse, la riforma non entrerebbe in vigore: è richiesto, infatti, il consenso unanime dei Paesi firmatari.
5. Il Mes introduce vincoli nella spesa pubblica o comporta cessioni di sovranità?
Il Fondo Salva Stati non prevede, di per sé, l’introduzione di vincoli. Le condizioni intervengono solo nel momento in cui uno Stato in difficoltà finanziarie faccia richiesta al Mes per l’erogazione di un finanziamento. In quel caso, esso dovrà rispettare determinate condizioni, che vengono definite caso per caso.
La Spagna, ad esempio, ha chiesto e ottenuto un prestito dal Mes da 41,3 miliardi per risanare il suo sistema bancario nel 2012/13. Il prestito fu condizionato a riforme del sistema bancario, non a piani di austerità per la finanza pubblica. Assai diverso il caso della Grecia, le cui finanze, però, erano decisamente più malmesse.
6. A quali condizioni il Mes presta denaro agli Stati?
Secondo la bozza della riforma, approvata dall’Eurogruppo nel giugno 2019, esistono due programmi di aiuto finanziario: uno precauzionale e uno rafforzato. Nel primo caso il prestito viene concesso senza la necessità di negoziare un Memorandum d’intesa, a patto che il Paese richiedente rispetti una serie di parametri economici.
Alcuni di questi sono, in particolare: a) rapporto deficit/Pil entro il 3%; b) rapporto debito/Pil al 60% o in riduzione in misura pari a 1/20 annuo della parte eccedente tale soglia; c) assenza di vulnerabilità nel settore finanziario “tali da mettere a rischio la stabilità finanziaria dei membri del Mes”; d) assenza di squilibri sotto l’osservazione dell’Ue.
Qualora le precedenti condizioni non fossero presenti da parte dello stato richiedente quest’ultimo dovrà concordare con il Mes un Memorandum d’intesa e “impegnarsi a rispettare la condizionalità definita per esso” e “ad adottare misure correttive per evitare futuri problemi relativi all’accesso al finanziamento del mercato”.
7. Il Mes prevede ristrutturazioni del debito preventive?
No, non è mai stato così e la riforma non lo prevede. L’ipotesi di ristrutturazione (ovvero che i creditori degli stati accettino di ricevere indietro meno di quanto hanno prestato) non è esclusa dal trattato, comunque. La ristrutturazione del debito, in linea generale, si rende necessaria quando si ritiene che il Paese non sarebbe in grado, in nessun caso, di restituire quanto ha ricevuto in prestito (come nel caso della Grecia o dell’Argentina).
8. La riforma del Mes facilita le ristrutturazioni del debito?
La riforma del Mes introdurrebbe, a partire dal 2022, una speciale Clausola di azione collettiva (single-limb Cac) che sottoporrebbe eventuali ristrutturazioni al voto dei sottoscrittori di tutte le emissioni con la possibilità di raggiungere un’unica maggioranza.
In precedenza è accaduto che la ristrutturazione di singole emissioni potesse essere bloccata, tipicamente dal “veto” posto da fondi d’investimento a caccia di migliori accordi. Secondo il sito del Mes il nuovo meccanismo permetterebbe di procedere alla ristrutturazione in modo più rapido (non di renderla più probabile laddove non sia necessaria).
9. Il Mes può intervenire nel salvataggio delle banche?
Nella sua versione riformata, non potrebbe più farlo in forma diretta. Il Mes acquisirebbe però un ruolo importante nell’aiuto delle banche in crisi prestando risorse, in caso di assoluta necessità, a un fondo interbancario chiamato Fondo di risoluzione unico.
Se quest’ultimo, nell’ambito di un salvataggio bancario, finisse le risorse a sua disposizione, il Mes potrebbe finanziarlo per ulteriori 55 miliardi di euro. Entro un massimo di cinque anni il prestito andrebbe restituito dalle banche contribuenti del Fondo di risoluzione. L’intervento del Mes, pertanto, non comporterebbe perdite a carico degli stati e, dunque, dei contribuenti.
1o. Chi gestisce il Mes gode dell’immunità dai procedimenti giudiziari?
Sì, limitatamente all’esercizio delle loro funzioni. “Nell’interesse del Mes, il presidente del consiglio dei Governatori, i governatori, i vice governatori, gli amministratori, gli amministratori supplenti, nonché l’amministratore delegato e gli altri membri del personale sono immuni da procedimenti giudiziari in relazione ad atti da essi compiuti nelle loro funzioni e godono dell’inviolabilità rispetto ai loro documenti e documenti ufficiali”.
Per approfondire sulla riforma del Mes, ecco le interpretazioni di 4 economisti: Carlo Cottarelli, Emiliano Brancaccio, Nicola Borri e Sergio Cesaratto