Era nata sotto i migliori auspici. Infatti il suo compito era, come si legge dal Sole 24 Ore del 21 settembre scorso:
“Sono sei i fronti di approfondimento sulle crisi bancarie: dalle modalità di «raccolta della provvista e gli strumenti utilizzati» ai criteri di «remunerazione dei manager». Si analizzerà anche la correttezza del collocamento al pubblico retail dei prodotti finanziari ad alto rischio. E si indagherà sulle forme di erogazione del credito ai clienti di particolare rilievo. Focus, poi, sulla struttura dei costi, la ristrutturazione del modello gestionale e la politica di aggregazione e fusione delle banche prese in esame nonché «l’osservanza degli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza nell’allocazione di prodotti finanziari, e degli obblighi di corretta informazione agli investitori». Ma oggetto dell’inchiesta sarà anche l’attività svolta dalla Vigilanza, e da questo punto di vista Bankitalia ha già assicurato piena collaborazione“.
Purtroppo sappiamo che la montagna ha partorito un topolino, come abbiamo letto in questi mesi dai giornali e come oggi “Il Foglio” in suo articolo brillantemente riassume: oltre il gossip e la ricerca dei mostri da sbattere in prima pagina non si è andati.
Si è persa un’occasione storica considerando che, come il Professor Onado ha testualmente affermato nel suo libro “Alla ricerca della banca perduta”:
“…i guai delle banche italiane di oggi non sono un meteorite piovuto dal mondo lontano di una crisi provocata dai geni malvagi della finanza globale: sono la conseguenza di un modello di sviluppo che non poteva che peggiorare gravemente con la crisi globale.“
Tale modello di sviluppo da correggere non è stato identificato e, di conseguenza, non ne è stato indicato un altro. Perchè?
La causa allora è certamente da ricercare proprio nell’ambito delle “risorse cognitive”, come anche l’autorevole Martin Wolf, editorialista economica del Financial Times, nel suo libro “The Shifts and the Shocks: What We’ve Learned–and Have Still to Learn” scriveva già nel 2004 con sintesi brillante a proposito delle politiche di sviluppo e profetizzando ciò che poi è avvenuto nella commissione:
“I regolatori, i politici e gli economisti che le ispiravano erano o inconsapevoli dei pericoli effettivi o non disposti ad affrontarli, in parte perché sensibili agli interessi dei soggetti regolati, in parte perché intimiditi o sedotti dalla nuova finanza, ma sopratutto perché erano tutti vittime degli stessi errori cognitivi.”
Non c’è bisogno di ricorrere al ritornello ormai stantio di invocare la “rottamazione” di questa o quella classe dirigente, basterà solo che venga fatto un atto di umiltà per rimediare a tali errori con nuove “risorse”.
Qualcuno, politico, regolamentatore o banchiere, è disposto a farlo?