La capogruppo alla Camera del M5S, Laura Castelli, non si rispecchia nell’analisi di Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni – noto per aver scritto diversi articoli su varie testate tra cui il Wall Street Journal – uscita sulla Stampa nell’edizione di ieri. Mingardi fa riferimento alle caratteristiche del Movimento fondato da Beppe Grillo, citando per esempio una “sorta di elegante camaleontismo”. Descrive un movimento che ha tra i suoi punti fermi il welfare, il complottismo, e che è avaro in termini di proposte sui diritti civili.
Così Mingardi:
“il Movimento propone il reddito di cittadinanza e l’abolizione di Equitalia, eccita l’elettore «antagonista», vezzeggia la piccola borghesia produttiva. Di per sé è un fenomeno non nuovo, nel nostro Paese. Il liberismo di Berlusconi era sempre «sociale», col crollo del Muro la sinistra postcomunista ha specificato che il suo era un socialismo «democratico», talvolta perfino «liberale». La vecchia politica era un po’ anche questo: partire dai lati e convergere al centro, per conquistarlo mostrando un pragmatismo pacato e riflessivo. Il Movimento al contrario non gioca a cucire assieme sensibilità sociale e critica allo Stato massimo, cultura di mercato e attenzione ai ceti più deboli, sentimento di giustizia e aspirazione all’efficienza. Si propone piuttosto come una collezione di realtà non necessariamente comunicanti, tante piccole isole accomunate dall’insofferenza per lo status quo”. Ancora: “Quando i grillini propongono di semplificare e abolire, lo fanno in larga misura strizzando l’occhio al piccolo commercio. Dall’abolizione di Equitalia a un tentativo di costituzionalizzazione dei principi dello statuto del contribuente, non manca l’idea che quest’ultimo sia una figura negletta quando non vilipesa, dalla vecchia politica”.
Mingardi si chiede anche quanto possano essere realizzabili gli obiettivi del Movimento, laddove scrive che:
“C’è da chiedersi, però, quanto sincere possano essere certe dichiarazioni d’intenti, se al contempo i Cinquestelle esprimono la volontà dichiarata di rimuovere gli argini, peraltro assai deboli, all’aumento della spesa. Difficile ridurre le vessazioni per il contribuente, se cresce il bisogno di risorse dello Stato. Forse questo allentare le briglie è un passaggio obbligato, per l’introduzione di un provvedimento costoso oggi ma che essi ritengono possa produrre grandi benefici in futuro, ovvero il reddito di cittadinanza: sulle cui coperture è buio pesto”. Tra l’altro: “Nel luglio 2015, essi si sono espressi anche per una modifica all’articolo 47 della Costituzione, quello sulla tutela del risparmio, affinché esso tuteli «il risparmiatore dal rischio di crisi bancarie». Splendida idea, se non fosse che è un po’ come fare una legge che abolisca i terremoti“.
Sulla scia di quanto affermato da Mingardi, la Stampa pone nell’edizione di oggi una serie di domande a Laura Castelli, capogruppo alla Camera del M5S: tra queste, il perchè della decisione del M5S di non votare a favore delle misure contro la povertà lanciate dal governo Renzi.
Così Castelli:
“Ci siamo astenuti, perché non basta. Sono pochi i soldi e la platea di gente che ne può godere è troppo piccola. Certo, è un inizio ma la nostra proposta è più completa e credibile”.
O tutto o niente, viene da chiedersi? E sul complottismo che Mingardi ha citato, parlando del M5S, Castelli risponde:
“Macché complottismo. Nascono dal fatto che in questo Parlamento non si parla con onestà intellettuale. Di Mps, Uranio impoverito, Tav. Esistono i fatti, ma non ce li fanno conoscere”.
Castelli risponde così all’analisi di Mingardi, ma le sue risposte non sembrano sufficienti.
Sicuramente non lo sono nel ribattere all’analisi di Mingardi, che non si è basato sulle parole, ma sui fatti. Il noto giornalista ha infatti esaminato le 514 proposte depositate alla Camera e al Senato dal M5S, per capire cosa desideri e a che cosa ambisca davvero il Movimento.
Le proposte di legge sono 360 depositate alla Camera e 154 al Senato, per macro-settori. Dall’analisi di Mingardi emerge che:
“Alla Camera, il 38% riguarda questioni economiche, il 15% il funzionamento del welfare state, il 6% temi di trasparenza e, per così dire, di «moralità pubblica», il 17% la riforma della politica, il 6% i diritti civili, il 6% politica estera e di difesa, il 7% ambientalismo e diritti degli animali, il 3% la cultura, e il restante 2% non rientra in nessuna di queste categorie. Le proporzioni sono simili, se si guarda all’attività dei senatori: economia 23%, stato sociale 21%, trasparenza e «moralità pubblica» il 19%, riforma della politica 9%, diritti civili 9%, politica estera e di difesa 7%, ambientalismo 2%, cultura 6%, il resto non rientra in nessuna di queste categorie. L’attenzione ai temi dell’ecologia segnala la vicinanza alla sinistra tradizionale. La componente di proposte di stampo «giustizialista» è corposa, e non poteva essere altrimenti: dal «Vaffa» Day in poi, è il tasto sul quale Grillo e i Cinquestelle hanno più costantemente battuto, proprio per fare valere la propria alterità rispetto alla vecchia politica. Stupisce forse la relativa esiguità di interventi sui temi dei diritti civili: ambito nel quale abbiamo inserito questioni pure eterogenee come l’attribuzione del cognome ai figli, l’introduzione del reato di tortura nel codice penale, fecondazione assistita, matrimoni fra persone dello stesso sesso. Ma secondo Casterlli: “Non è così, tanto che le prime tre proposte di legge presentate dal M5S erano sui diritti civili. E tra queste ricordo il matrimonio egualitario”.
Il giornalista della Stampa fa notare: “L’impressione è che molte delle vostre proposte fanno poco i conti con la realtà”
Ma per Castelli anche questo non è vero:
“Sembrano irrealizzabili perché i politici non si rassegnano ad ampliare la forbice tra ricchi e poveri. E gli economisti che ci attaccano non hanno il dominio della verità. La nostra proposta sul reddito nasce dal confronto con chi lo ha già attuato”.