I Paesi che vedono una donna al comando avrebbero combattuto in modo più efficace il Covid-19, quantomeno nei primi tre mesi della pandemia: è questa l’ambiziosa tesi sostenuta da due economiste Supriya Garikipati (università di Liverpool) e Uma Kambhampati, in un paper che ha trovato ospitalità su VoxEu, un sito di analisi economica nel cui board compare anche l’italiano Tito Boeri.
Una tesi ambiziosa quella della migliore gestione “femminile” anche perché, a livello metodologico, è difficile confrontare l’influenza del genere cui appartiene il Capo di stato isolando tutte le altre variabili che possono condizionare le politiche adottate.
Secondo le autrici del “column” i risultati in termini di contagi e di morti sono “sistematicamente migliori nei Paesi guidati da donne”.
Donne e uomini al comando: la gestione del Covid nei numeri
I dati “grezzi” sono i seguenti: nei primi 3 mesi della pandemia i paesi guidati da un leader di sesso maschile hanno avuto in media 26.468 contagi contro i 19.064 dei paesi guidati da una donna; sul fronte dei decessi il confronto è, invece, di 2.021 morti contro 1.107.
Il risultato, per quanto non del tutto rappresentativo data l’esiguità del campione rappresentato dagli stati guidati dalle donne, mostra uno scarto che le due economiste giudicano abbastanza ampio da giustificare le speculazioni. Che cosa avrebbe reso le leader donne, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, “più efficaci” di fronte al Covid-19?
Le autrici individuano fra gli elementi cruciali la rapidità con la quale le donne hanno, in media, adottato misure di lockdown rispetto agli omologhi di sesso maschile.
Ma l’analisi è andata oltre questo primo step. La robustezza della tesi, infatti, permane anche se ad essere confrontati sono i Paesi confinanti e con caratteristiche socio-demografiche simili.
“L’analisi del Paese più vicino conferma chiaramente che quando i Paesi guidati da donne vengono confrontati con altri loro simili lungo una serie di caratteristiche, hanno ottenuto risultati migliori, registrando meno casi e meno morti”, affermano le autrici, “i risultati sono particolarmente significativi nel caso del numero di decessi registrati nei Paesi guidati da donne. Questi risultati rimangono solidi anche quando escludiamo dal nostro campione quei Paesi che sono stati sotto i riflettori come Stati Uniti, Germania e Nuova Zelanda, per vedere se potrebbero guidare i risultati. Abbiamo scoperto che questi cambiamenti nel campione rafforzano solo i risultati”. Nel grafico in basso è possibile osservare alcuni confronti.
L’avversione al rischio tipicamente femminile? Contro il Covid funziona
Una possibile spiegazione dei risultati, fra quelle citate dalle due economiste, chiama in causa la maggiore avversione al rischio che contraddistingue le donne rispetto agli uomini. L’audacia, infatti, non è una buona arma se la guerra si combatte contro un virus. Al contrario, le leader donne avrebbero avuto un atteggiamento più prudente che avrebbe permesso di ridurre l’impatto umano del Covid-19.
“Tuttavia, sebbene le donne leader siano state avverse al rischio per quanto riguarda la vita umana”, hanno commentato le due economiste, “si sono dimostrate pronte a correre rischi significativi nei riguardi delle loro economie chiudendole presto in lockdown”.