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Credit crunch, le imprese a maggiore rischio

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ROMA (WSI) – Dopo aver fatto il punto sulla politica monetaria adottata di recente dalla BCE, cerchiamo ora di capire perché appare assai difficile immaginare che le misure approntate dalla BCE, da sole, possano essere sufficienti a sbloccare il credito e che ciò possa avvenire nei tempi solleciti richiesti dall’evoluzione della crisi.

Partiamo dalla prima misura: la remunerazione negativa dei depositi bancari presso la BCE. In realtà si tratta di una misura dissuasiva che, in cuor della BCE, dovrebbe indurre le banche a preferire altre soluzioni di impiego (prestiti), poiché i depositi presso la BCE sono diventati (marginalmente) onerosi. Quindi, un costo aggiuntivo che la banche dovrebbero sostenere in caso impiego della liquidità presso la BCE. Al netto del fatto che il maggior onere sostenuto, verosimilmente, potrebbe essere ribaltato sui clienti delle rispettive banche, va osservato che lo stock di fondi interessati a questa misura sono (erano) appena una trentina di miliardi di euro, per lo più riconducibili alle banche del nord europa, sebbene dovrebbe aumentare per effetto della sospensione della sterilizzazione settimanale degli acquisti nell’ambito del programma SMP. E’ assai difficile immaginare che le banche possano essere indotte a concedere maggiori prestiti con una misura che scoraggia una forma di possibile impiego della liquidità, ma non altre alternative. In buona sostanza le banche potrebbero essere indotte a valutare altri tipi di impiego, senza con ciò immobilizzare la liquidità in operazioni di finanziamento.

Detto questo, passiamo alle altre misure. In attesa di un vero e proprio Qe che, vista la necessità di rianimare un mercato di Abs sufficientemente ampio tale da consentire acquisti significativi da parte della BCE, potrà essere effettuato in tempi non troppo brevi, il ruolo chiave del pacchetto di stimoli messi in campo dalla BCE è ricoperto dal TLTRO (Targeted Long Term Refinancing).
Come dicevamo nel post introduttivo, nella prima fase di lancio (ossia nelle aste del prossimo settembre e dicembre) le banche potranno accedere a questi finanziamenti senza che ciò implichi nessun “obbligo” o nessuno stimolo in capo alle banche nella concessione di prestiti a famiglie e imprese, per via della liquidità ottenuta nelle aste che verranno effettuate a fine anno. In buona sostanza, in quella occasione le banche potranno richiedere fino ad un massimo del 7% del totale del loro attivo dedicato ai prestiti verso il settore privato dell’Area Euro (con l’esclusione dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di case), alla data del 30 aprile 2014. Quindi, per la liquidità ottenuta da queste due prime aste, non è prevista alcuna forma di incentivo (o deterrente finalizzato ad evitare l’impiego verso altre attività. Es: titoli di stato) idoneo a veicolare i prestiti all’economia reale . Solo successivamente, invece, tra marzo 2015 e giugno 2016, avranno luogo altre aste TLTRO a frequenza trimestrale, in cui le banche potranno richiedere nuova liquidita`, che potra` arrivare al massimo a tre volte quella netta (ovvero la differenza tra i nuovi prestiti elargiti meno quelli rimborsati in scadenza) che nel frattempo avranno concesso da aprile 2014 e che risultera` essere in eccesso di questo specifico benchmark. Per le aste trimestrali che verranno svolte da marzo 2015 a giugno 2016, le banche, potendo chiedere liquidità in virtù di un meccanismo moltiplicatore (fino a tre volte rispetto ai prestiti netti concessi nel periodo a decorrere da aprile 2014), è verosimile attendersi che possano rispettare questa soglia di ingresso già attraverso un limitato impiego in prestiti rispetto alla liquidità che otterranno nelle aste di fine anno, utilizzando l’ulteriore utilità ottenuta per altri fini.

Sotto questo aspetto andrebbe osservato che le banche, entro il prossimo mese di dicembre e il successivo mese di febbraio, dovranno restituire alla BCE circa 200 miliardi di euro ottenuti con le aste LTRO di fine 2011 e inizio 2012. Non a caso, le prime aste TLTRO giungeranno a ridosso delle due scadenze, consentendo alle banche di ottenere liquidità che potrà essere utilizzata per rimborsare i prestiti alla BCE.

Considerando lo stato di fragilità del comparto bancario va segnalato che, consultando la recente Relazione Annuale di Bankitalia, si possono acquisire dati non del tutto tranquillizzanti sullo stato di salute del sistema bancario. Infatti, a pagina 217 della Relazione si può cogliere che, a marzo 2014, il capitale e le riserve del sistema bancario, ammontavano complessivamente a 420 miliardi di euro. Su questa entità gravano crediti deteriorati per circa 319 miliardi di euro, come si può evincere dalla tabella che segue tratta dalla stessa Relazione.

Alla luce dei dati appena enunciati è del tutto verosimile pensare che le banche italiane possano utilizzare la liquidità ottenuta dalla BCE, non tanto per la concessione di nuovi prestiti a famiglie e imprese, ma per promuovere forme di ristrutturazione di crediti problematici che altrimenti potrebbero passare a sofferenze.

Questo è tanto più confermato se si considerano i dati provenienti da CERVED che segnalano che l’indicatore di rischio insolvenza delle società italiane rimane sui livelli massimi.

C’è da aggiungere che a complicare il quadro sopra descritto, intervengono anche ulteriori aspetti dal lato della domanda di credito e sulla capacità delle stesse imprese di ottenere linee di credito.

Dall’inizio della crisi sono aumentati esponenzialmente i soggetti insolventi (sia imprese che famiglie), ai quali è quindi preclusa ogni possibilità di accesso al credito. Le imprese, nella maggior parte dei casi, hanno subito significativi ridimensionamenti dei rispettivi bilanci, che hanno aggravato livelli di patrimonializzazione già critici.

Si consideri anche che la congiuntura economica, benché giungano segnali meno negativi rispetto a quelli a cui siamo stati abituati negli ultimi anni, appare ben lontana dal percorrere un sentiero di crescita robusto e duraturo tale da indurre le stesse banche a guardare al futuro con maggior ottimismo e a concedere maggior credito.

Ad aggravare la situazione appena descritta c’è da considerare anche che l’ambiente ove operano le imprese italiane non è tra i più propizi, solo per usare un eufemismo. La pressione fiscale a livelli record, una normativa fiscale in perpetuo mutamento e l’eccesso di burocratizzazione, costituiscono il migliore antidoto alla pianificazione di investimenti (e quindi alla domanda di credito) e al fare impresa.