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Criptovalute alla prova del fisco italiano

Se possedute al di fuori del circuito degli intermediari nazionali le criptovalute devono essere inserite nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Previste regolarizzazioni per gli anni precedenti al 2022

di Vittorio Emanuele Falsitta

 

Dal 1° gennaio 2023 la cessione delle cripto-attività è soggetta ad un’imposta sostitutiva del 26% sulla differenza tra prezzo o valore di realizzo e costo o valore di acquisto, purché superi la soglia di 2.000 euro l’anno. Se le criptoattività sono in custodia o deposito presso un operatore qualificato, sarà quest’ultimo a prelevare e versare l’imposta. E’ tassato anche lo scambio tra criptoattività purché non avvenga tra criptoattività dello stesso tipo (ad es. tra una tipologia di criptovalute e un’altra), nel quale ultimo caso lo scambio non è da considerare realizzativo.

Inoltre, le criptoattività danno luogo al cosiddetto monitoraggio fiscale (e cioè alla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi) ove possedute al di fuori del circuito degli intermediari qualificati nazionali e detenute all’estero.

La tassazione fino al 31 dicembre 2022.

La stessa legge di bilancio 2023 ha introdotto una disposizione che prevede che le cessioni o permute di criptoattività realizzate fino al 31 dicembre 2022 comportassero comunque il realizzo di redditi, da ricomprendere nella categoria dei “redditi diversi”. In passato l’Agenzia delle Entrate ha emanato una serie di documenti interpretativi per disciplinare le varie fattispecie i quali, quand’anche difformi dalla normativa oggi vigente, sono stati confermati quanto alle fattispecie realizzatesi prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni (circolare 27 ottobre 2023, n. 30/E).

La regolarizzazione delle attività.

Per tutti i periodi d’imposta fino al 2021 era possibile presentare un’istanza di regolarizzazione per il patrimonio detenuto in criptoattività, pagando un importo dello 0,50% del loro valore annuo per sanare le violazioni all’obbligo di compilazione del quadro RW. Tale importo era invece del 4% qualora le criptoattività avessero prodotto plusvalenze in conseguenza della loro cessione. Inoltre, era possibile (entro il 15 novembre 2023) “affrancare” il valore delle criptoattività ancora in possesso al 1° gennaio 2023 con un’imposta sostitutiva del 14%.

Molti contribuenti non hanno “regolarizzato” né “affrancato” le criptoattività. Sono evidenti le criticità legate: all’”opacità” della stessa legislazione con riferimento al passato, al “peso” percentuale della regolarizzazione, al fatto che fosse riferita a valori a volte non attuali (ad es. il 31 dicembre 2021 il bitcoin aveva un valore molto alto), al fatto che la regolarizzazione al 4% annuo fosse “forfettizzata” in modo da comportare lo stesso esborso per chi avesse fatto una o poche operazioni e per chi ne avesse fatte migliaia ai fini speculativi, al fatto che la rivalutazione del 14% non sia riconosciuta al fine di compensare eventuali minusvalenze.

E per chi non ha regolarizzato?

è consigliabile intraprendere un percorso di legalità e legalizzazione (non solo fiscale) delle criptoattività. La nostra proposta è di presentare un’istanza di emersione e regolarizzazione all’Agenzia delle Entrate nella quale, previa dimostrazione dell’origine del patrimonio investito in criptoatività – tale per cui sia eliminato ogni elemento di sospetto quanto al riciclaggio – siano fornite tutte le informazioni al fine di pervenire ad una soluzione di tassazione preferibilmente analitica nei casi in cui i dati e gli elementi lo consentano, e con eventuali semplificazioni e forfettizzazioni nei casi in cui il realizzo di valori sia opinabile (si pensi agli scambi tra criptovalute) o di difficile quantificazione.

Con la collaborazione degli uffici delle entrate, in sede di accertamento con adesione per i periodi d’imposta passati (o, eventualmente, di ravvedimento) è possibile riuscire ad ottenere una tassazione più equa, giacché mirata sui reali eventi realizzativi posti in essere.

Anche perché tale percorso “virtuoso” che passa per un’analisi preventiva del suo patrimonio, può essere più aderente al “vissuto” del contribuente di fronte ad effetti impositivi – eventualmente potenzialmente penalmente rilevanti – maturati in un contesto di incertezza normativa.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di maggio del magazine Wall Street Italia. Clicca qui per abbonarti