Di Michele Di Salvo*
Il Presidente Sergio Mattarella, rifiutando la nomina del Prof. Paolo Savona, aveva spiegato le ragioni di prudenza e tutela economica e del risparmio, oltre che della tenuta dell’economia italiana.
In questa direzione andava anche l’immediata convocazione di domenica al Quirinale di Carlo Cottarelli, per mandare un segnale in qualche modo rassicurante prima dell’apertura delle borse il giorno dopo.
Lunedì mattina al primo rimbalzo si è parlato di mercati esultanti per l’arrivo di un tecnocrate, di complotto dei poteri forti e delle banche. In un’ora la scintilla si è spenta e i mercati sono tornati giù e lo spread è tornato a salire.
A quel punto gli economisti da tastiera si sono scatenati – come se nulla fosse – sul “allora Savona non c’entrava”, era tutta una manovra di palazzo, etc. La domanda resta.
Perché i mercati vanno così giù e così male?
La risposta è abbastanza semplice e mai come in questo caso unanime. I mercati non sono un sentiment sul giorno dopo, come fosse il meteo. I mercati guardano a un tempo ragionevole di investimento e di tenuta di un sistema.
I mercati, innanzitutto, sono quell’insieme di investitori che “acquistano” il nostro debito pubblico, attraverso le aste sui titoli di stato. È quindi ovvio che se tu dici a chi compra il tuo debito – e quindi ti presta soldi oggi per rivederli in futuro – che ci sarà instabilità politica, che non ci sarà un governo con la piena fiducia del parlamento, che quindi non potrà fare riforme strutturali o misure strutturali in economia e finanza perché “politicamente debole” e che sostanzialmente la situazione resterà così per almeno un altro anno (per altro è anche probabile che tale resterà anche dopo nuove elezioni se non cambi la legge elettorale…) è ovvio che quegli investitori chiedono tassi più alti per prestarti del denaro. Specie se hai già un indebitamento abnorme.
Questa la base. Adesso vediamo “l’altezza”, ovvero la profondità e sin dove questa crisi dei mercati può condurci.
Tassi più alti significa interessi maggiori da pagare (1% significa circa 25miliardi di euro l’anno, pari a una manovra finanziaria). Questo significa meno risorse per la spesa pubblica, investimenti, riduzione di tasse e costo del lavoro. Ma significa anche mutui più cari. Il che accresce il rischio delle banche, diminuisce la propensione al credito delle stesse e degli stessi clienti “più solvibili” (che semmai attendono) mentre aumenta la richiesta di credito dei clienti “più rischiosi” semmai già indebitati o in difficoltà.
Da qui sostanzialmente il “crollo” dei titoli bancari, appesantiti anche dalla grande quantità di titoli di stato in portafoglio. E da questo crollo viene determinata anche la diminuzione della propensione delle banche stesse a nuovi crediti a imprese e famiglie.
A questi fattori se ne aggiungono altri tre
- Il primo è la debolezza strutturale del nostro sistema economico, messo in ulteriore difficoltà nelle esportazioni dal dollaro estremamente forte.
- Il secondo il sopraggiungere del periodo estivo, in cui i volumi di investimento sono fisiologicamente minori, il che si traduce in forti oscillazioni possibili anche in presenza di un numero di scambi relativamente basso.
- Il terzo è la speculazione finanziaria, vero rischio sul lungo termine.
In questo caso non dobbiamo immaginarci complotti multinazionali in segrete stanze, ma semplici considerazioni economiche. Se sei un investitore – immaginiamo un fondo comune di investimento azionario – oggi puoi comprare Unicredit, Generali, Ubi, ma anche Bper e Intesa SanPaolo al 30% in meno di un mese fa! E nell’ottica di un investimento a 1 o 3 anni è quasi a prezzi di svendita.
Il problema – per noi – è che questa svendita riguarda il cuore e il motore dell’economia italiana, strumento indispensabile per qualsiasi ipotesi di ripresa e di crescita.
Quanto ci è costata sinora la crisi di governo?
Ci è costata decisamente troppo, soprattutto se consideriamo il punto di partenza della nostra economia e soprattutto del nostro debito pubblico.
Intanto – ad oggi – ci è costata 25miliardi di euro in più in interessi annuali. Che uniti ai 18miliardi che dovevamo trovare per evitare aumenti di Iva e accise e al fabbisogno extragettito estivo, significa dover immaginare una manovra economica di circa 50miliardi di euro a settembre.
I cali di valore di titoli di borsa, ad oggi, ammontano a circa 100 miliardi di euro.
A questo si somma la debolezza dell’euro, che a questi valori rischia di costarci circa mezzo punto di pil in termini di esportazioni. Se a qualcuno mezzo punto di pil sembra poco, in cifre fa circa 120miliardi di euro di minore fatturato per le imprese, che significano cassa integrazione, stipendi, investimenti, ricerca e innovazione in meno.
Può andare peggio?
Sostanzialmente no. Peggio di così – semmai con qualche perdita in più rispetto ad oggi – è difficile, e questo proprio grazie all’euro. È vero che lo spread è salito, ma parliamo comunque di tassi di interesse decennali sotto il 2%.
Se dovessimo andare sui mercati con la nostra lira, poggiata solo sulla nostra economia nazionale e non sull’Europa tutta, probabilmente i nostri tassi di interesse oggi sarebbero tra il 5 e il 7%, avremmo mutui casa al 15% e un’inflazione intorno al 4-5%.
Ma andrebbe anche peggio alla nostra borsa, e soprattutto alla svalutazione della lira e quindi alle nostre esportazioni.
Ecco, basta prendere lo scenario in cui siamo e moltiplicarlo per tre o quattro volte e possiamo avere un’idea chiara. In questo senso l’euro e l’Europa sono scudi che ci proteggono, sia in termini di valore e di tassi, sia in termini di vincoli di bilancio e regole.
I nostri risparmi sono a rischio?
In gran parte no. I conti correnti sino a 100mila euro sono protetti per legge. I fondi comuni in genere subiscono oscillazioni controllate. Quelli totalmente azionari possono avere delle flessioni considerevoli, ma la loro ottica deve essere di lungo periodo, e semmai questa è un’ottima opportunità – per chi può, vuole ed ha coraggio – di investire. Sempre in ottica prudenziale e di lungo periodo.
I problemi sono sui tassi a credito: scoperti e finanziamenti di conto corrente, mutui a tasso variabile, carte di credito revolving (quelle che si pagano a rate) che costeranno sensibilmente di più.
Quanto durerà questa crisi?
Difficile a dirsi. Ma aspettiamoci un anno di “purgatorio”, con qualche rimbalzo tecnico che non deve destare euforia, e qualche ulteriore aggiustamento a ribasso, soprattutto per quei titoli (bancari e industriali) che saranno messi sotto pressione dalla speculazione e da eventuali scalate.
* Business consultant in corporate restructuring and internationalization presso CrossMedia