Il governo di Lega e M5s entrò in carica con il proposito di cambiare politica economica e dare una scossa di tipo espansivo all’economia. Con l’obiettivo di ridare fiato ai consumi e ridurre la disoccupazione giovanile, la strategia dell’esecutivo ha destinato gran parte delle risorse della Legge di bilancio al Reddito di cittadinanza e a Quota 100. Anche se gli effetti di queste due misure restano ancora da valutare, nemmeno l’istituto degli economisti eterodossi, tipicamente critici rispetto alle regole di bilancio europee, vede di buon occhio le scelte compiute dal governo giallo verde.
Si tratta di una bocciatura proveniente dalla sponda opposta rispetto a quella di Ocse e Fmi, i cui giudizi rispondono a logiche economiche più convenzionali e largamente accettate dagli studiosi. L’analisi è firmata dall’economista Servaas Storm (Università tecnica di Delft), in un working paper pubblicato dall’Institute for new economic thinking.
Lo scopo della manovra di M5s e Lega, “è una ripresa a breve termine della sola domanda interna attraverso maggiori consumi. Nessuna delle spese proposte aiuterà risolvere i problemi strutturali dell’Italia. Ciò che manca completamente è un orientamento a più lungo termine, la seconda parte di una strategia praticabile, che la Lega neoliberista non vuole fornire e il M5S “progressista solo a parole” sembra incapace di concepire”.
Proposta eterodossa per rilanciare l’economia
A distinguere la posizione di Storm da quella tipicamente assunta da Fmi e Ocse è la natura della proposta. Se per queste istituzione è importante per l’Italia proseguire nel percorso di riforme strutturali, al fine di rendere più competitive le imprese, Storm insiste “sulla creazione di un processo autorinforzante di crescita guidata dagli investimenti e guidata dall’innovazione, orchestrata da uno ‘stato imprenditore’ e fondato su relazioni relativamente salde e coordinate tra lavoratori e imprese, piuttosto che su mercati del lavoro liberalizzati e relazioni di lavoro iper-flessibili”.
Secondo l’economista olandese, infatti, le politiche di contenimento della spesa pubblica e le riforme volte a contenere il costo del lavoro hanno sì ottenuto il risultato di combattere l’inflazione, ma hanno altresì depresso la domanda interna del Paese e il suo potenziale di crescita.
“Dal 1992 al 2008, la crescita dei salari reali italiani per lavoratore (0,35% annuo) era solo la metà della crescita dei salari reali negli Euro-4 (cioè Belgio, Germania, Francia e Olanda, 0,7% annuo) ed era ancora più bassa rispetto alla crescita dei salari reali in Francia (0,9% all’anno). E’ interessante notare che, dal 1992 al 2008, la crescita dei salari reali per dipendente in Italia è stata leggermente inferiore a quella (già avara) dei salari reali tedeschi (0,4% all’anno)”, ha scritto Storm.
Operazione riforme ha avuto successo, ma “il paziente è morto”
“In altre parole, le riforme strutturali italiane degli Anni 90 hanno dato buoni frutti in termini di una maggiore quota di profitto sul Pil – rimasta sostanzialmente superiore a quella di Francia e Germania. Con un’inflazione ridotta, un’efficace restrizione dei salari, una diminuzione della disoccupazione, l’indebitamento pubblico in declino e la quota di profitto considerevolmente aumentata, l’Italia sembrava impostata per un lungo periodo di forte crescita”.
Non è successo. “L’operazione è stata eseguita con successo, ma il paziente è morto. Secondo l’autopsia del coroner, la causa della morte era una mancanza strutturale di domanda aggregata”.
La crescita della domanda interna è stata in media dello 0,25% all’anno dal 1992 al 2014, in Italia – molto al di sotto della crescita della domanda interna (dell’1,1% per persona all’anno) nei paesi Euro-4. Anche per Storm, tuttavia, servirà di più che un semplice sussidio rivolto ai meno abbienti per risollevare le sorti dell’economia italiana.
Il PIL è destinato a espandersi dello 0,1% nel 2019, secondo 42 economisti interpellati da Bloomberg, partendo con un primo trimestre ancora negativo (-0,1%). Oltre alla recessione tecnica a pesare sulle potenzialità della ripresa economica italiana sono i livelli crescenti di debito pubblico. Bankitalia calcola a febbraio un debito in crescita a quasi 2.363,7 miliardi di euro dai 2.363,5 miliardi di euro a gennai. Rispetto al PIL la percentuale è del 132,2%, a fronte di un coefficiente iniziale del 132,1%