Economia

Crisi euro, dopo i Piigs è l’ora dei Sell?

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LONDRA (WSI) – L’esperienza della crisi dell’euro, la cui fase acuta risale alla seconda metà del 2011, potrebbe suggerire che l’adozione della moneta unica, di per sé, possa condurre Paesi particolarmente vulnerabili a soffrire d’instabilità finanziaria. Andando ad analizzale l’esperienza di alcuni fra i nuovi arrivati nell’Eurozona, l’Economist ha notato che gli errori sfociati negli squilibri macroeconomici dei PIIGS non sono stati ripetuti.

Dal 2009 sono entrate nell’euro Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania (SELL): nessuno di questi Paesi, da allora, ha riscontrato il più preoccupante dei sintomi legati all’euro: l’afflusso sospetto di capitali esteri che, sull’onda della credibilità offerta dall’ingresso nell’Eurozona, ha gonfiato bolle creditizie come quelle irlandesi o spagnole. Le bilance delle partite correnti dei SELL restano in ordine, a differenza di quanto sperimentato negli anni precedenti alla crisi del 2011 in Italia, in Grecia o in Spagna.

Il newspaper britannico, elenca alcuni vantaggi che l’euro ha potuto, invece, offrire ai SELL; assieme a qualche aspettativa delusa e a qualche, inevitabile, controindicazione. La banca centrale Slovacca aveva previsto con gran pompa che l’arrivo dell’euro avrebbe spinto il commercio estero del 50%; l’idea sottostante era che ridurre la barriera del cambio avrebbe favorito i flussi commerciali, ma, di fatto, quando questo avviene, non comporta differenze eclatanti.

Le imprese dei Paesi baltici, inoltre, non hanno riscontrato maggiori esportazioni verso il resto dell’Eurozona, nonostante la chiusura coi partner russi in seguito alle sanzioni inflitte a Mosca per la questione Ucraina. Un ultimo vantaggio ridimensionato è quello che riguarda gli inferiori costi per l’emissione di debito pubblico: prima della crisi i rating sul credito potevano godere di miglioramenti assai più ampi.

Resta, però, il fatto che aver uniformato le valute elimina un problema potenziale per le imprese dei SELL, il rischio che divenga più costoso onorare i debiti in valuta estera, che contano circa il 70% del loro debito privato; in altre parole si sgombra il campo da quelle instabilità finanziarie prodotte dal cosiddetto “currency mismatch”.

Fra i conti da pagare che, però, rimane l’obbligo di affrontare i problemi di competitività internazionale privi l’arma della svalutazione: per questa ragione, stando nell’euro riforme strutturali “come la liberalizzazione del lavoro e del mercato dei prodotti, “assumono una nuova importanza”, conclude l’Economist.