Sono 202 i migranti sbarcati sulle coste greche rimpatriati in mattinata in Turchia, presso il porto di Dikili. Le loro domande di asilo sono state ritenute inammissibili, laddove inoltrate.
Nessuno di essi è di nazionalità siriana: sono in maggioranza pakistani, bengalesi, dello Sri Lanka e marocchini. Entra così in azione il piano europeo concordato con Ankara per il trasferimento di una parte consistente di migranti irregolari, sbarcati in Grecia dalle coste turche; lo ricordiamo, secondo gli accordi il ritorno in Turchia viene deciso su base individuale, scongiurando soluzioni “di massa” giuridicamente inammissibili.
Resta, comunque, una soluzione controversa: duramente criticata da organizzazioni come Amnesty International e Unhcr, il piano sui rimpatri ha tuttavia ridotto già in misura notevole il volume degli ingressi a partire dal suo annuncio. Al confine tedesco, nel frattempo, i nuovi arrivi sono scesi a circa 140 al giorno: erano ancora migliaia a inizio anno. Il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maiziere ha pertanto dichiarato che il “picco della crisi dei migranti è alle spalle”.
Il compromesso Ankara e Bruxelles, però, non è privo di risvolti imbarazzanti sul piano umanitario. Le strutture preposte all’accoglienza sull’isola di Lesbo hanno superato ampiamente i limiti di capienza, con 3mila persone trattenute là dove al massimo se ne potrebbero ospitare 2mila. Secondo Boris Cheshirkov, il portavoce dell’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, né la Grecia né la Turchia sono attrezzate per garantire il pieno esercizio dei diritti delle persone coinvolte nella rotta della speranza verso l’Unione Europea. A mancare è innanzitutto il personale destinato a valutare singolarmente una vasta quantità di domande d’asilo.
La gran parte degli arrivi ha come origine paesi come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan: tutti dilaniati dalla guerra quantomeno in tempi recenti. Tuttavia, ad eccezione dei siriani, quanti siano appartenenti alle altre due nazionalità dovrebbero essere rimpatriati nel Paese d’origine.
“E’ un colpo storico ai diritti umani” dicono da Amnesty International. Secondo un volontario di origine pakistana raggiunto dal Washington Post, Shahrukh Rind, ai migranti non viene comunicato come presentare la domanda di asilo:
“Sono persone che hanno rischiato la vita per essere qui, immaginate di aver pagato 5mila euro per fuggire dal vostro Paese e di essere rispediti indietro”.