Roma – Per tanti anni la laurea è stata il passaporto per il salto sociale, lo strumento migliore per il passaggio di classe. Poi è venuta la crisi, e molti giovani si sono ritrovati a rigirarsi per le mani quello che sembra essere diventato a tutti gli effetti un inutile pezzo di carta. Eppure, in futuro ci sarà sempre più spazio per laureati e post-laureati, assicurano Richard Dobbs e Anu Madgavkar, i ricercatori di McKinsey autori dell’indagine “Why the jobs problem is not going away” (perché permangono i problemi del lavoro). L’indagine parla di un “mismatch”, di un disallineamento tra la domanda e l’offerta di laureati, che da qui al 2020 si allargherà sempre di più: nelle economie avanzate potrebbero mancare all’appello dai 16 ai 18 milioni di laureati, l’11% in meno rispetto alla domanda, con conseguenze dannose per la crescita del Pil.
Un mismatch preoccupante anche in Italia. Sarà così anche per l’Italia? Al momento il tasso di disoccupazione è al 10,7%, 34,5% per i giovani dai 15 ai 24 anni. Per cui non c’è da stupirsi se “negli ultimi anni la partecipazione dei giovani all’istruzione universitaria mostra una tendenza alla riduzione”, dice Cristina Freguja, direttore centrale della Direzione delle statistiche socio-economiche dell’Istat. Infatti il “tasso di passaggio” dalla scuola secondaria all’università è sceso nell’anno accademico 2010-2011 al 61%, rileva l’Istat, contro il 73% dell’anno accademico 2003-2004, e il rapporto tra i laureati e la popolazione venticinquenne è al 32%, “mentre superava il 40% nel 2006”. E quindi, conclude Freguja, “considerato il contesto demografico atteso per i prossimi decenni e in assenza di eventuali afflussi di immigrazione altamente qualificata, se questo trend dovesse proseguire, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro di persone laureate potrebbe effettivamente assumere dimensioni rilevanti”.
Un mercato del lavoro “ingiusto”. A scoraggiare i giovani, rileva Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, le difficoltà del mercato del lavoro: “Mentre con il contrarsi dell’occupazione negli altri Paesi è cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro Paese è avvenuto il contrario”. Tanto che “probabilmente almeno una parte dei laureati che in questi anni sono emigrati dall’Italia fanno parte del contingente di capitale umano che è andato a rinforzare l’ossatura dei sistemi produttivi dei nostri concorrenti!”. Eppure “in Italia la percentuale di giovani laureati è al 27%, tra le più basse del mondo: negli Stati Uniti è al 40%”, ricorda Francesco Pastore, professore di Economia Politica all’università di Napoli e segretario dell’Associazione Italiana degli Economisti del lavoro. Pochi laureati, e in difficoltà: la colpa principale, secondo Pastore, è che da noi il “mercato del lavoro è ingessato, ingiusto: la percentuale di persone che trova lavoro grazie ad amici e conoscenti è passata in pochi anni dal 28% a oltre il 40%, i giovani che lo trovano grazie ai centri dell’impiego sono appena il 2,5%, gli addetti in Italia sono pochissimi, uno per ogni 150 disoccupati, contro 1/48 in Germania e 1/24 in Gran Bretagna”.
Una classe dirigente arretrata. Cambieranno le cose in futuro? Vale la pena di investire in una laurea? “Abbiamo un Paese che non cresce e che non crea occupazione – ammette Stefano Scabbio, presidente e ad di ManpowerGroup Italia e Iberia – e c’è anche un problema di classe dirigente poco preparata, che fa fatica a introdurre laureati brillanti nella propria organizzazione”. Eppure, il sistema attuale fatto di piccole imprese concentrate nel settore manifatturiero, ragiona Scabbio, già non regge la concorrenza con gli altri Paesi: bisognerà passare a un sistema che metta al centro la ricerca e l’innovazione, le nuove tecnologie: “Abbiamo ancora un modello di sviluppo molto tradizionale, con poca tecnologia. Per cui i laureati molto preparati finiscono per andare all’estero, lì trovano opportunità. Ma già le cose stanno cambiando, e ci sono dei profili che già adesso sono molto ricercati in Italia: tutta l’area ingegneristica con indirizzo meccanico, elettronico o elettronico, ingegneria informatica, le lingue, economia e commercio per ruoli di controllo di gestione”.
E’ già allarme “disallineamento”. Dalle indagini di Unioncamere emerge una richiesta non soddisfatta di laureati in Economia bancaria, ingegneria civile, informatica, meccanica e civile, scienze economico aziendale, farmacia, e in discipline sanitarie. Il mismatch tra domanda e offerta di figure professionali altamente qualificate non è un problema futuro, in realtà in Italia esiste già adesso, spiega il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. E superarlo è fondamentale per la crescita: “La competitività di un Paese come il nostro, privo di risorse naturali, oggi come ieri si gioca sulla competenze delle persone, sulla qualità, originalità e innovatività delle loro idee e, soprattutto, sull’esistenza di un sistema-Paese in grado di valorizzare queste idee portandole sul mercato. Per questo è indispensabile che i nostri giovani siano messi in condizioni di scegliere un percorso formativo – a tutti i livelli – coerente con le esigenze delle imprese. Non a caso, da alcuni anni, le imprese hanno accentuato l’attenzione al tema della qualità delle risorse umane, puntando ancora di più sull’eccellenza per competere. Purtroppo il nostro mercato del lavoro continua a scontare un forte mismatch tra domanda e offerta di figure professionali altamente qualificate che, invece, sono oggi indispensabili per il successo di migliaia di piccole e medie imprese, in particolare di quelle impegnate nei settori trainanti del Made in Italy”.
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