- Il QE terminerà a dicembre con gli acquisti che verranno ridotti, a partire da ottobre, a €15 miliardi da 30, specificando che la decisione è comunque legata all’evoluzione del quadro inflativo;
- Confermata la politica di reinvestimento dei titoli in scadenza per un periodo di tempo esteso anche dopo la fine del QE;
- I tassi di interesse di riferimento rimarranno fermi almeno fino all’estate del 2019.
Fari puntanti sulla Bce, che nella riunione di Riga, in quello che viene considerato il più importante appuntamento dell’anno, scava un solco tra le politiche di Eurozona e Stati Uniti. Mentre Jerome Powell e la Fed premono sull’acceleratore nel ciclo di rialzo dei tassi, Mario Draghi frena e rimanda una stretta monetaria a non prima di settembre 2019.
Le attese degli analisti erano per un nulla di fatto sul fronte dei tassi di interesse e infatti così è stato. Il tasso guida resta fermo allo zero e quello sui depositi al -0,4%. In un primo momento sembrava che Draghi fosse riuscito nell’impresa di accontentare falchi e colombe, ma a freddo nel complesso l’esito della riunione viene considerato generalmente accomodante. Anche se il QE si concluderà a fine 2018, alcuni paesi in difficoltà potrebbero ricevere un sostegno anche fino al secondo trimestre del 2019, secondo quanto riferito dal presidente della Bce.
Senca contare poi che, in una svolta “dovish” inattesa la Bce ha offerto dettagli su quando avverrà la prossima stretta monetaria: non prima della fine dell’estate 2019. Questo ha sfavorito l’euro, sceso anche sotto l’area di 1,1700 dollari. Le Borse invece sono in rialzo.
L’Italia, uno dei paesi più vulnerabili per via del suo debito enorme e delle incertezze politiche, ha probabilmente messo in imbarazzo Mario Draghi durante la riunione del board della Bce e lo ha fatto quando ha preso la parola davanti ai giornalisti durante la consueta conferenza stampa. Draghi ha precisato che “l’euro è irreversibile perché è forte e perché nessuno ne mette in discussione la sopravvivenza”. Il governatore della Bce ha esortato tuttavia le autorità politiche a fare progressi nel processo di creazione di un’unione bancaria.
Nonostante l’annuncio della fine del QE a dicembre, le parole di Draghi sono giudicate nel complesso “molto accomodanti” dagli analisti. Un rialzo dei tassi non è affatto imminente, perché la Bce dice che non ha intenzione di “sottovalutare i rischi esistenti per la crescita”. Le misure di sostegno potrebbero durare più a lungo di quanto implicano le previsioni e “potrebbero essere estese fino al secondo trimestre in alcuni paesi”.
Le dichiarazioni favoriscono l’azionario e i Bund, con l’euro che invece scende sotto quota 1,17 dollari (vedi grafico sotto riportato). I rendimenti dei Bond tedeschi decennali sono in calo di 8 punti dai massimi giornalieri.
Italia, “elefante nella stanza” per Bce
Gli analisti, ricorrendo a una metafora cara alla lingua inglese, ci definiscono “l’elefante nella stanza” che la Bce non può fare a meno di affrontare. Prima ancora che sulla terza economia dell’area euro, l’attenzione è tutta puntata sul programma del Quantitative Easing: la Bce ha deciso di prolungarne la durata fino a dicembre ma di ridurne la portata da 30 miliardi di euro di asset acquistati al mese a 15 miliardi. La spina del bazooka monetaria verrà staccata alla fine di quest’anno. La decisione era aspettata, ma il mercato ha in un primo momento interpretato le decisioni come “hawkish”.
La decisione sui tassi ha però riassestato i mercati e risettato in particolare il cross euro dollaro, con la moneta unica che ha virato in rosso. Oltre alle indicazioni su tempi e modalità di uscita dal QE, l’attenzione dei mercati è concentrata sull’Italia, per via delle recenti speculazioni sulla sua possibile uscita dalla zona euro, che ha creato turbolenze nel mercato dei titoli di stato.
Secondo gli analisti, poco importava se le modalità di uscita venivano comunicate oggi o nella riunione di luglio. Quello che appare certo è che il programma del QE non durerà a lungo e che questo potrebbe rappresentare un problema per l’Italia. Il problema è anche psicologico. La Bce ha finito le munizioni e se la situazione in Eurozona dovesse precipitare stavolta Draghi non potrebbe fare magie come fece nel luglio del 2012.
Fine QE nel 2018: un problema per l’Italia
Anche se la Bce continuerà nelle sue operazioni di reinvestimento del ricavato ottenuto dalla chiusura dei rubinetti di liquidità, con l’inizio della fine del QE viene sancita definitivamente la conclusione dell’era decennale del denaro facile. Una grande complicazione in questa senso potrebbe essere rappresentata dalle prospettive economiche europee sempre più turbolente, alla luce delle guerra commerciale con gli Stati Uniti, ma anche per la sfida populista arrivata con il nuovo governo italiano, dichiaratamente euro scettico.
Tutti questo fattori – dicono alcuni analisti – potrebbero accelerare piuttosto che rallentare la exit strategy, in quanto la banca centrale ha ormai esaurito le cartucce per eventuali interventi di politica monetaria efficaci. Non solo. Un eventuale ulteriore indebolimento delle prospettive dell’economia potrebbe rendere ancora più complicata un’uscita successiva. Prendere ancora tempo potrebbe rivelarsi una scelta deleteria.
“La Bce ha fretta di chiudere il capitolo del QE soprattutto per ragioni di carattere politico” dicono gli analisti di Bank of America Merrill Lynch in una nota ai clienti, mettendo in evidenza che l’istituto di Francoforte non vuole che la sua politica monetaria sia in alcun modo influenzata da chi sostiene che la Bce possa modificare il nuovo corso politico in Italia.
Di parere opposto David Zahn, capo della divisione reddito fisso europeo di Franklin Templeton, secondo cui è “molto probabile” che la BCE estenderà il suo programma di acquisto di attivi oltre la fine dell’anno al 2019 in seguito all’impatto che ha situazione in Italia.
E proprio a causa dell’incertezza politica in Italia, Hetal Mehta, economista senior di Legal & General Investment Management, non esclude che Draghi possa ripetere la sua dichiarazione 2012 quando affermò di voler fare “tutto il possibile” per mantenere la zona euro insieme. Il famoso “whatever it takes per salvare l’euro” pronunciato a luglio di quell’anno ha contribuito a salvare l’area dal baratro della crisi del debito.
Oggi la situazione generale, economica e di fiducia, è migliore, sebbene il trend sia più negativo rispetto al 2017, ma allora Stati, imprese e cittadini potevano contare sulle misure espansive straordinarie della Bce. Che verranno invece a mancare dal 2019.