Con una Brexit disordinata i gestori e i trader potrebbero trovarsi di fronte a un muro inaccessibile. Nel peggior scenario possibile, infatti, si rischia che la trasmissione e la salvaguardia di dati cruciali per il funzionamento delle attività di trading, classico e ad alta frequenza, siano compromesse.
È l’avvertimento lanciato dal team di tecnici del gruppo IT TransWorldCom. In un’intervista esclusiva con InvestmentEuorope, Paolo Sartori, managing director, e Richard Baker, direttore delle operazioni, dicono che in caso di ‘no deal’ si rischia il caos.
Al contrario di quanto avvenuto in passato, l’Unione Europea non ha prorogato l’ “Adequacy Agreement” con il Regno Unito, come invece ha fatto con altri stati come Norvegia e Svizzera per la gestione dei dati. Non solo quelli finanziari.
Anche se nell’accordo stretto da Theresa May e l’UE si cita un “mantenimento degli standard” per quanto riguarda lo scambio di dati, il testo è stato sonoramente bocciato dal Parlamento. Senza, potrebbero nascere problemi seri per chi fa trading.
“Non è ancora il momento di premere il pulsante di allarme”, secondo TransWorldCom, ma tenuto conto dei tipi di servizio che sono coperti, i timori sono giustificati viste le implicazioni per le aziende. Sia quelle britanniche che fanno affari in Europa sia vice versa per quelle europee che hanno accesso al mercato della City.
Uno dei servizi è per esempio quello di assicurare trasmissioni a bassa latenza nelle attività di trading sui mercati finanziari.
No deal Brexit, “prepararsi al peggio”
Alcuni clienti potrebbero avere un accesso diretto ai mercati ed effettuare scambi in un futuro posto Brexit. Tuttavia è indispensabile che le autorità di UE e UK trovino un’intesa prima dell’attivazione dell’articolo 50. Questo, sottolineano Sartori e Baker, consentirebbe di evitare di alimentare gli allarmismi.
Un aspetto importante dopo la Brexit, sarà considerare come i dati saranno trasferiti. Un esempio: i gruppi di servizi cloud non sono tenuti a mantenere i dati vicini a dove si trovano i clienti a meno che non sia specificato.
Un’altra questione riguarda la velocità alla quale i dati possono essere forniti al cliente. Se sono registrati nel Regno Unito, non sarà un problema per un’azienda britannica. Ma se invece sono salvati in UE, in Usa o Australia?
Si potrebbe creare un muro non solo per i dati presenti nei server. Sartori e Baker avvertono che potrebbe formarsi una barriera anche per le società di telecomunicazioni. Che interesserebbe le reti dove i dati vengono smistati e trasmessi.
“Cosa succede se le compagnie tlc europee rompono i legami con il Regno Unito e se ai gruppi britannici non viene consentito di trasmettere i dati?”, si chiedono i due esperti.
Brexit, ‘no deal’ come con il Millenium Bug
Alla luce dell’incertezza intorno al futuro dei dati, in particolare quelli personali, Sartori e Baker fanno un paragone con i problemi venutisi a creare con il Millenium Bug. Anche allora, per paura che scoppiasse il caos e per via dell’incertezza, le società hanno anticipato i tempi.
Anche oggi stanno valutando tutte le opzioni per non incorrere in problemi seri e infatti TransWorld.com ha riscontrato un boom di richieste di consulenza IT. Per chi fa affidamento sulle reti e sui servizi cloud pubblici maggiori, i cambiamenti per rispondere alle richieste delle autorità di regolamentazione dovrebbero poter essere apportati relativamente in fretta.
Ma per le imprese che si sono rivolte ai cloud e network privati, la questione potrebbe essere più problematica. E varrebbe la pena muoversi per tempo per evitare cattive sorprese a febbraio-marzo. Il 13 febbraio il parlamento britannico voterà il piano B proposto da May, mentre – salvo slittamenti – il 29 marzo scatterà l’articolo 50.