Si conclude oggi il 46° World Economic Forum di Davos dove i “potenti della terra” si sono riuniti per discutere dei grandi problemi, economici e non solo, della nostra epoca e, si spera, cercare di risolverli.
Ci riusciranno? La società iperconnessa e ipercomplessa del III millennio consente di essere governata in maniera dirigistica? Vi è una gerarchia di “sistemi” grazie alla quale uno di essi, ad esempio quello politico, può “dirigere” tutti gli altri (economia, clima, educazione, ecc.)?
Cerchiamo di avere una risposta da un grande pensatore del secolo scorso: il sociologo Niklas Luhmann, del quale a breve sarà disponibile la versione italiana di un libro di un suo profondo conoscitore (Hans Georg Moeller).
Attingendo al pensiero formulato in altre discipline (biologia, matematica, fisica, ecc.), predispone un impianto teorico altamente convincente per spiegare l’attuale realtà sociale e le sue dinamiche. Una società “senza centro, nè alto” che costituisce e sviluppa continuamente (autopoiesi) sistemi sociali che fanno da “ambiente” l’uno con l’altro e che si sviluppano autonomamente e indipendentemente tra di loro. Sono perturbabili e “irritabili” con stimoli esterni ma certamente non “governabili” nel senso in cui comunemente si attribuisce a questa parola.
A che servono eventi come quelli di Davos?
Proprio per esplicitare meglio il suo pensiero, Luhmann utilizza una metafora carica di ironia, ma non per questo meno convincente. Egli confronta “le mimiche e le promesse dei politici che pretendono di poter influenzare l’economia (capitalista) con le danze della pioggia degli indiani Hopi e attribuisce la stessa importante funzione a entrambi, cioè “diffondere l’impressione che qualcosa è stato fatto piuttosto che semplicemente aspettare che le cose cambino per conto loro.”
Per lo più la politica funziona simbolicamente quando arriva alla pretesa di governare altri sistemi sotto le condizioni di differenziazione funzionale. Non solo forniscono il conforto di una sensazione che “qualcosa è stato fatto”, ma, e forse in modo ancora più importante, assumono un elevato significato sociale. Una danza della pioggia era certamente un evento rilevante nella vita religiosa nativa americana.”
L’evento di Davos è di alto prestigio internazionale; continua Luhmann “Proprio come qualcuno potrebbe, presumibilmente, guadagnare un alto stato sociale nella comunità nativa americana rappresentando un ruolo principale in una danza della pioggia, essere un oratore in un meeting a Davos non mancherà di migliorare notevolmente il suo curriculum. Sia la danza della pioggia che il summit creano tutti i tipi di “perturbazione”. Essi sono inevitabilmente sia l’oggetto di conversazione della cena di una famiglia indiana che la copertura mediatica delle reti televisive nell’ora di punta. Pertanto una danza della pioggia e un summit (Davos, G8, ecc.) non sono così di interesse per meteorologi ed economisti come lo sono per antropologi e sociologi.”
Dunque Davos è inutile?
Sì se si pensa che possa influenzare economia e clima (e 45 anni di scarsi risultati successivi a questo evento ne forniscono un’ampia dimostrazione!), no se visto dall’ottica dei sistemi sociali e la loro evoluzione “autopoietica”.
Ma allora cosa bisognerebbe fare per “governare” l’economia, qualsiasi cosa possa significare questo verbo? Ben altro rispetto a quello che i politici raccontano, i media amplificano e noi ci aspettiamo (basandoci sui primi due).
È chiaro però come sia urgente, in ogni caso, che le classi dirigenti si dotino di “risorse cognitive” totalmente diverse da quelle usate dai partecipanti ai meeting di Davos (e dai giornalisti che li raccontano).