Non c’è solo la Cina nel mirino di Trump: la guerra commerciale coinvolge anche Canada, India e Europa. A Bruxelles hanno un piano per tagliare la testa al toro: coinvolgendo le maggiori nazioni esportatrici di automobili e motociclette, che hanno ben poco interesse ad assistere inermi a un’escalation della disputa a colpi di dazi.
L’Unione Europea intende avviare colloqui internazionali per ridurre i dazi sul settore automobilistico. L’idea è quella di stringere un accordo tra i grandi Stati produttori ed esportatori di auto, in modo da scongiurare una guerra a tutto campo con gli Stati Uniti. Venerdì 6 luglio entrano in vigore i dazi Usa su 34 miliardi di dollari di prodotti cinesi. La risposta di Pechino, non si farà attendere e sarà altrettanto dura.
Mark Haefele, chief investment officer di UBS Global Wealth Management, osserva che la volatilità continuerà a essere sostenuta. La Cina e l’incertezza sui tassi di interesse sono i fattori di rischio citati dal manager. Il consiglio agli investitori è di rimanere sul mercato ma di prendere al contempo in considerazione cinque misure su tutte: cercare alternative di investimento, coprirsi dall’esposizione all’azionario, migliorare la qualità creditizia degli asset in portafoglio, diversificare a livello settoriale e geografico, assumere una view a lungo termine”.
Secondo quanto riferito dai diplomatici sentiti dal Financial Times, l’idea allo studio delle autorità europee per scongiurare una guerra commerciale senza esclusione di colpi verrà presentata nell’incontro tra il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e il suo omologo statunitense a Washington questo mese. Le maggiori pressioni per un accordo vengono dalla Germania, un grande paese esportatore che gode di un surplus commerciale enorme e che pertanto è terrorizzato all’idea di vedere imposti dazi protezionisti contro il settore auto.
UE al lavoro su intesa “last-minute” con Usa e Asia
Il timore dei mercati finanziari e della maggior parte die governi europei è che il tempo per convincere gli Usa a desistere e non imporre tariffe punitive sul settore dei motori stia per scadere. Tre diplomatici hanno fatto sapere che l’esecutivo Ue sta valutando quanto sarebbe fattibile trattare per trovare un accordo con altri grandi paesi esportatori di auto come Usa, Corea del Sud e Giappone.
L’obiettivo sarebbe quello di ridurre i costi per le esportazioni per i paesi che hanno un ruolo chiave nel settore auto, accontentando al contempo Trump, il quale – secondo gli analisti a ragione – ritiene che il comparto automobilistico Usa sia trattato con pratiche sleali da parte dei partner commerciali.
In un’intesa del genere, verrebbe ridotti i dazi a un livello concordato per una serie specifica di prodotti. Si tratterebbe di un “accordo multilaterale” che consente ai paesi di stringere accordi sui dazi senza includere tutti gli Stati membri dell’Organizzazione mondiale del Commercio, da cui peraltro gli Stati Uniti sembrano intenzionati sul serio a uscire.
Pictet AM vede calo del 15-20% per le Borse
Se la situazione precipita, l’AD di Fiat Chrysler Sergio Marchionne, uno dei manager del settore dell’auto per la verità meno critici nei confronti delle politiche di stampo protezionista di Donald Trump, ha già preannunciato che il gruppo produrrà i modelli dei marchi di punta Alfa e Maserati anche negli Stati Uniti.
Secondo i calcoli di Luca Paolini di Pictet Asset Management in caso di esplosione di una guerra commerciale internazionale, i mercati subirebbero conseguenze serie. Il modello del gruppo, che si basa sulle stime dell’FMI, mostra come l’inflazione globale crescerebbe del 10% qualora un dazio del 10% sui beni scambiati in Usa venisse trasferito ai consumatori. Questo ridurrebbe gli utili delle aziende del 2,5% e abbasserebbe il rapporto P/E delle società quotate di tutto il mondo di anche il 15%.
L’azionario mondiale subirebbe a sua volta un calo dell’ordine del 15-120%, se si ritiene che i rendimenti Usa salgano in linea con il tasso di inflazione. In pratica in questo scenario, i mercati azionari tornerebbero indietro di tre anni. In circostanze simili, scrive l’asset manager, i titoli delle aziende esportatrici cinesi e le azioni cicliche americane sono quelle che accuserebbero i cali più intensi.