Se l’appetito per il rischio è tornato oggi sui mercati non lo si deve soltanto ai dati macro più positivi del previsto pubblicati in alcune delle economie più robuste dell’area euro. La principale ragione, dicono gli analisti e investitori, è da ricercare nelle indiscrezioni secondo cui alcuni funzionari Usa sarebbero pronti ad avviare di nuovo i colloqui con la Cina prima che i dazi di Donald Trump entrino in vigore il prossimo mese.
Quelle del presidente Usa sui nuovi dazi su alimentari e altri prodotto importati dalla Cina in molti casi restano ancora bloccate allo stadio delle minacce a parole, e non è detto che la guerra commerciale a tutto campo si concretizzi. A preoccupare dovrebbero essere piuttosto le dispute con altri partner commerciali come Ue e Canada.
I mercati finanziari oggi sembrano convincersi che si tratti di un fuoco di paglia, di una guerra fredda sino-americana. Trump fa la voce grossa, ma politicamente è quello che si trova nella posizione più fragile, viste le elezioni mid-term all’orizzonte (in agenda a novembre). Xi Jinping, in confronto, gode di un mandato a vita, praticamente.
Albert Edwars, noto strategist ribassista di Societe Generale, avverte però di un’altra minaccia sempre sul fronte commerciale, ma ben più grossa. Secondo lui la disputa annosa tra Cina e Stati Uniti sta infatti distogliendo l’attenzione da un’altra sfida economica pericolosa, quella tra Usa e Ue.
“Il programma QE della Bce ha aiutato a colmare le falle dell’area euro finora, ma ha anche aumentato le chance di una guerra commerciale a tutto campo tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea”, ha dichiarato Edwards.
Questa settimana, in risposta alle tariffe contro allumini e acciaio, le autorità europee hanno trovato un accordo sull’imposizione di dazi contro le merci importate dagli Stati Uniti per un valore complessivo di 2,8 miliardi di euro.
La chiave di lettura è rappresentata dalla divergenza sempre maggiore delle politiche monetarie tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. “La Bce ha svalutato l’euro ed è indirettamente responsabile dell’escalation delle tensioni commerciali” attuale, scrive in una nota ai clienti l’analista.
Come sarebbe guerra dazi a tutto campo Ue-Usa?
Edwards reputa che le aziende più colpite da un eventuale bracci di ferro nel commercio tra i due colossi economici sarebbero le case automobilistiche. Da tempo Trump ha criticato la Germania per la sua posizione dominante nel settore delle auto di lusso.
Oggi gli Usa chiedono soltanto il 2,5% di imposta sulle auto importate dall’UE, una cifra che si confronta con il 10% imposto in Europa e con il 25% chiesto in Cina per chi vuole un’auto “straniera”. Edwards stima che queste percentuali e giochi di forza sono destinati a cambiare e che Trump finirà per implementare dazi “notevolmente più alti”.
A complicare tutta la vicenda c’è la presenza della Germania, che sarà uno sfidante più agguerrito per Trump rispetto a quelli che il governo Usa ha dovuto affrontare sinora nelle varie fasi della guerra valutaria e commerciale.
Sotto questo aspetto, Edwards sottolinea che per via di come possono procedere spedite le nuove norme europee oggi, il richio di subire una ritorsione immediata è alto per gli Usa.
“La Germania, in base a quanto abbiamo osservato negli anni, non si abbasserà a giocare la partita di Trump, a fare concessioni oppure a usare toni conciliatori”.
Berlino, Edwards ne è certo, risponderà con forza e non si farà intimidire. Inoltre parte da una posizione di vantaggio, per come è strutturato l’impianto normativo in UE. La Commissione europea riuscirà infatti “a implementare dazi di ritorsione con grande rapidità rispetto a quanto visto finora nella disputa tra Cina e Usa”.
Senza contare che l’organo esecutivo dell’UE non dovrà nemmeno rispondere delle sue azioni direttamente agli elettori tra qualche mese, al contrario di Trump che a novembre dovrà cercare anche di sedare le proteste intestine al suo partito, nella fattispecie dell’ala moderata dei Repubblicani, storicamente favorevole al libero commercio mondiale.