In questi giorni si è riproposto il problema dell’elevato debito pubblico italiano e del suo ulteriore aumento per finanziare l’emergenza coronavirus. Anche in relazione ai prossimi giudizi da parte delle agenzie di rating. Ne abbiamo parlato con Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici dell’università Cattolica di Milano.
Prof. Cottarelli, in caso di un taglio del rating dell’Italia chi comprerà i titoli di Stato che saranno emessi?
Guardi, quest’anno il fabbisogno dello stato ammonta a circa 500 miliardi di euro, forse di più, tra le emissioni già in calendario e quelle legate all’aumento del deficit all’8% deciso dal governo per far fronte all’emergenza. Di questo ammontare 224 miliardi dovrebbero essere acquistati dalla Bce attraverso il piano di quantitative easing e il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) varato di recente (52 miliardi derivano dal rinnovo di titoli in scadenza già in mano alla banca centrale).
Per coprire il fabbisogno l’Italia può contare anche sui 17 miliardi in arrivo dal piano Sure, dedicato al sostegno alla disoccupazione, ed eventualmente anche su 36 miliardi di euro nel caso si decida di ricorrere al Mes, che sarebbero erogati in assenza di condizionalità tranne il vincolo che i fondi vengano utilizzati per finanziare i costi diretti e indiretti della pandemia.
Il totale di acquisti di titoli di Stato italiani e di altri prestiti da parte di istituzioni europee, assumendo che l’Italia utilizzi i fondi del Mes, potrebbe quindi ammontare a 277 miliardi (224+17+36). Questo rappresenta più della metà del fabbisogno di finanziamenti per quest’anno.
Rimangono circa 230 miliardi. 200 potrebbero essere riacquistati dagli investitori, in particolare le banche, a seguito delle operazioni di rollover dei titoli che giungono in scadenza. Gli altri 30 miliardi potrebbero essere sottoscritti, ad esempio, dai gestori istituzionali.
È bene considerare che ci sono ancora due reti di protezione a disposizione del nostro Paese date dal Recovery fund, ancora da definire, e dalla possibilità che la Bce possa aumentare ulteriormente gli acquisti di titoli italiani.
A quale livello di rapporto debito pubblico /pil il debito diventa insostenibile?
Non c’è un livello prestabilito di questo rapporto che indichi un livello di insostenibilità. Certo è che il debito non può continuare ad aumentare all’infinito. In questa fase non mi preoccuperei della crescita del debito anche perché l’Unione Europea ha concesso la possibilità di un aumento temporaneo dei deficit.
Più in generale il rischio associato a un certo livello di debito pubblico dipende dalla quota di debito in mano al settore privato, più esposta a possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. A seguito degli interventi messi in atto dalle istituzioni europee nel 2020 il debito pubblico italiano detenuto da investitori privati resterebbe inalterato al 112% del Pil mentre la quota detenuta dalle istituzioni europee salirebbe da 403 a 628 miliardi, ovvero dal 23% al 37% del Pil considerando anche un eventuale ricorso al Mes.
A fine anno la Bce dovrebbe detenere 575 miliardi di titoli italiani, dati dallo stock già detenuto a fine 2019, pari a 403 miliardi, a cui si aggiungono i nuovi acquisti previsti dai programmi nel corso del 2020, e tenendo conto dei titoli in scadenza detenuti da Francoforte (403 + 224 – 52). A questo ammontare vanno sommanti i 17 del programma Sure e i 36 del Mes.
Ma allora per il debito pubblico italiano non ci sono rischi?
Fino a quando non cresce la quota di debito detenuta dal settore privato dai livelli attuali non aumenta nell’immediato il rischio associato a un certo livello di debito pubblico, soprattutto in termini di possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. Aumenta però la dipendenza dalle istituzioni europee che finanziano l’Italia e, in particolare, dalla Bce che sta finanzia i Paesi europei stampando moneta, il cosiddetto ‘signoraggio’ ovvero il potere della banca centrale di stampare moneta.
La nuova liquidità al momento non ha creato inflazione. Il motivo non è chiaro ma è possibile ritenere che dipenda soprattutto dal fatto che gli istituti di credito hanno preferito mantenere in casa la liquidità piuttosto che concedere nuovi finanziamenti alle imprese. Fino a quando il settore privato manterrà volontariamente elevati livelli di liquidità, il finanziamento monetario dei deficit pubblici, già in corso dal 2015, non avrà conseguenze inflazionistiche.
Se invece la liquidità esistente nel sistema venisse mobilizzata in modo massiccio nel medio periodo, ad esempio attraverso il canale del credito bancario, potrebbero a quel punto insorgere problemi. A quel punto la Bce si troverebbe costretta a vendere sul mercato i titoli italiani e degli altri Paesi europei per assorbire l’enorme liquidità creata negli ultimi anni. In una situazione del genere i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani tornerebbero a crescere e il peso del maggiore debito pubblico si farebbe sentire in modo più evidente.
A questo punto che tipo di interventi possono essere fatti per far rientrare il rapporto debito pubblico /Pil a livelli più accettabili?
L’unica strada percorribile per far rientrare su binari ordinari il debito pubblico è quella di fare ripartire la crescita economica del Paese ad un tasso del 2% annuo. Inoltre è necessario che la spesa pubblica cresca in linea con l’inflazione. Se sarà così nel giro di qualche anno si potrà assistere ad una diminuzione del debito pubblico. Non è pensabile di avere una riduzione strutturale del debito solo con un taglio della spesa pubblica.
Per rimettere in moto l’economia è però necessario avviare un piano di riforme che permetta agli imprenditori di fare nuovi investimenti. Da anni i sondaggi fra gli imprenditori indicano tre freni all’investimento: burocrazia, lentezza della giustizia, in particolare civile, e livello della tassazione. Qualsiasi programma di rilancio deve ripartire da lì.
E’ necessario semplificare regolamenti e procedure per snellire la macchina amministrativa e fare leggi più chiare per evitare di perdere tempo in procedure farraginose. È poi imprescindibile accorciare i tempi della giustizia per avere sentenze in tempi più brevi. Sul fonte fiscale è necessario un maggior sforzo contro l’evasione e una semplificazione degli adempimenti a carico delle persone e delle aziende. Inoltre una adeguata spending review consentirebbe di alleggerire il carico fiscale sulle spalle degli italiani. Grazie alle misure messe in campo dalla Bce adesso c’è il tempo necessario per avviare queste riforme. Ma è il mondo politico che deve prendere queste decisioni.
In questi giorni si è tornato a parlare di una possibile patrimoniale. Cosa ne pensa?
La patrimoniale è un tipo di provvedimento che viene adottato in una situazione di emergenza e noi adesso non siamo in questa situazione. Preferirei che si evitasse di percorre questa strada perché, se da un lato consente di raccogliere risorse finanziarie in brevissimo tempo, ha poi ha un effetto negativo sull’economia. Si tratta sempre di una tassazione che toglie risorse al sistema.
È possibile che i titoli di Stato italiani siano acquistati da Cina o Stati Uniti?
Una scelta del genere non viene fatta per generosità e quindi dipende cosa vogliono in cambio questi Paesi. È bene ricordare che un aiuto da parte di Paesi terzi ha un prezzo politico da pagare.