Debito pubblico italiano record a febbraio: 3 motivi per cui non è una buona notizia
Record del debito pubblico a febbraio 2023. È aumentato di 21,6 miliardi di euro rispetto al mese precedente, toccando quota 2.772 miliardi. Banca d’Italia nella nota “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” spiega che l’incremento è dovuto al fabbisogno (12,9 miliardi) e alla crescita delle disponibilità liquide del Tesoro (8,6 miliardi, a 43,3). Inoltre, ha contribuito l’effetto complessivo di scarti e premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione dei tassi di cambio (0,1 miliardi).
Guardando ai sottosettori, il debito delle amministrazioni centrali è aumentato di 21,6 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali e quello degli enti di previdenza è rimasto pressoché invariato. Alla fine del mese di febbraio la quota del debito detenuta da Banca d’Italia era pari al 26,2% (invariata rispetto al mese precedente), mentre quella detenuta da non residenti era pari a gennaio (ultimo mese per cui questo dato è disponibile) al 26,5%. Infine, la vita media residua del debito è rimasta stabile rispetto a gennaio, a 7,7 anni.
A febbraio le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 34,9 miliardi, in calo del 3% (1,1 miliardi) rispetto allo stesso mese del 2022. Estendendo il periodo al primo bimestre dell’anno, le entrate tributarie sono state 79,1 miliardi, in aumento del 4,5% (3,4 miliardi) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Si ricorda che il governo di Giorgia Meloni prevede di aumentare il debito di circa 8 miliardi di euro quest’anno e il prossimo per finanziare misure di sostegno incentrate sul taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori dipendenti. Tanto che il debito pubblico italiano, in proporzione il più alto della zona euro dopo quello della Grecia, è previsto nel Def elaborato dal Governo Meloni al 142,1% del PIL quest’anno, e dovrebbe scendere al 141,4% nel 2024, al 140,9% nel 2025 e al 140,4% nel 2026.
I rischi dell’Italia con il PNRR per un debito pubblico troppo alto
Le agenzie di rating hanno messo in guardia l’Italia da ulteriori ritardi o revisioni degli obiettivi di stabilità con l’Unione nell’ambito del PNRR, che potrebbero avere ripercussioni sulle prospettive di crescita e sulla sostenibilità del debito. Si ricorda che circa un mese fa la Commissione Europea ha congelato una tranche di fondi da 19 miliardi, chiedendo al Governo chiarimenti sui lavori in corso per centrare gli obiettivi da cui dipende l’erogazione del denaro. L’Italia è anche in ritardo nell’utilizzo di 67 miliardi già ricevuti da Bruxelles. L’Italia dovrebbe ottenere un totale di circa 200 miliardi di fondi Ue nell’ambito del PNRR entro il 2026, principale beneficiario del piano in termini assoluti. Il Governo di Giorgia Meloni starebbe lavorando per trovare delle soluzioni ai ritardi attraverso modifiche ai programmi di spesa già concordati o una proroga delle scadenze attuali.
3 motivi per cui non è una buona notizia
Anche Maurizio Mazziero, Fondatore della Mazziero Research, analista finanziario ed esperto di materie prime, è allineato a questo monito:
“Non è una buona notizia per 3 ragioni. La prima è che è un nuovo record storico. La seconda è che è un incremento di 15,5 miliardi, che vanno ad indebitare ulteriormente un Paese già sovraindebitato come l’Italia. La terza è che, quando aumenta in termini assoluti il debito, significa che questo debito va finanziato in qualche modo. Nel nostro caso emettiamo titoli di Stato lì dove gli introiti fiscali non bastano. Oggi non li emettiamo più a un costo irrisorio vicino allo zero, ma ad un costo intorno al 4% (rendimento del decennale italiano, n.d.r.). Questo significa che il debito ci costa di più in termini di interessi, soprattutto considerando che il 4% peserà per almeno 10 anni. Questo costo è già rilevabile, confrontando ad esempio la spesa per interessi del 2021, oltre 63 miliardi di euro, con quella del 2022, circa 83 miliardi di euro: un aumento di 20 miliardi in una voce di spesa pura, cioè non impiegata in investimenti di utilità nazionale (ad esempio per infrastrutture, sistema scolastico, sanitario, etc). Con l’ufficio studi della Mazziero Research abbiamo stimato che da questo livello di 2.772 miliardi si dovrebbe gradualmente salire sino a giugno su valori che stimiamo tra 2.801 e 2.830 miliardi. Livelli preoccupanti se si considera che questa è la base su cui viene calcolata la spesa per interessi dei titoli di Stato emessi dall’Italia. Se le misure del PNRR non verranno messe a terra, rischiamo la stagnazione nei prossimi anni. Il fatto che l’inflazione alleggerisca il costo del debito pubblico è sopravvalutato di questi tempi: con un’inflazione non transitoria e su livelli persistentemente attorno al 10%, l’unico effetto concreto è che viene eroso prepotentemente il potere d’acquisto delle persone, come una patrimoniale occulta. Che rischia di portarci in recessione”.