DECLASSAMENTO BIPARTISAN
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(WSI) – Perché Standard & Poor’s (S&P) si è improvvisamente svegliata e l’8 agosto ha cambiato il proprio giudizio sull’Italia? In fondo nell’ultimo mese le cose non sono andate poi così male. Il dato di ieri sulla produzione industriale (scesa ancora rispetto a maggio) è negativo, ma servizi e costruzioni vanno meglio e le prime stime fanno prevedere che il Pil (prodotto interno lordo) nel secondo semestre dell’anno abbia ripreso, seppur lentamente, a crescere. I conti pubblici tengono: il fabbisogno rimane elevato ma tra gennaio e luglio è stato uguale a quello del 2004, nonostante il venir meno di alcune entrate una tantum, solo in parte sostituite dalla seconda rata del condono edilizio incassata a gennaio.
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Oggi probabilmente la Fed alzerà di nuovo i tassi di interesse, la miglior prova che l’economia americana continua a crescere. Il dollaro è forte e la Cina ha abbandonato il dogma del cambio fisso, due buone notizie per le nostre imprese. Persino la Fiat ha ricominciato a guadagnare. Per capire la decisione di S&P occorre mettersi nei panni di un investitore che ieri, lunedì 8 agosto, è tornato dalle vacanze.
Perché mentre l’Italia chiude, il resto del mondo ricomincia a lavorare e dopo la pausa di luglio i mercati finanziari riprendono a pieno ritmo, con l’occhio alla Fed oggi e alla Banca centrale europea il 1° settembre. Che immagine hanno dell’Italia questi signori, che posseggono la metà del nostro debito pubblico? Quella efficacemente riassunta dal titolo dell’ultimo numero dell’«Economist»: Italia: un altro anno, un altro scandalo.
Il crack della Parmalat è stato il maggior scandalo finanziario avvenuto in Europa negli ultimi anni, un avvenimento, ha scritto la Banca dei Regolamenti Internazionali, «che ha messo in luce carenze ad ogni possibile livello: amministratori, revisori, banche, promotori finanziari, nonché i responsabili della vigilanza su ciascuna di queste attività». Che cosa abbiamo fatto in due anni? (Ricordo che negli Stati Uniti il Sarbanes-Oxley Act, una legge scritta per affrontare problemi simili, è stata approvata il 30 luglio 2002, cinque mesi dopo il fallimento di Enron). Nulla, non una norma, non una legge.
Ma è anche peggio, perché nel frattempo è scoppiato un altro scandalo che ha evidenziato carenze forse ancor più gravi nell’attività di vigilanza sulle banche. Scrive S&P: «Eventi recenti hanno danneggiato, almeno temporaneamente, il prestigio della Banca d’Italia, finora una delle istituzioni più autorevoli del Paese». E il governo che fa? Se la prende con i giornalisti che pubblicano le intercettazioni e poi va in vacanza, sperando che l’agosto faccia dimenticare tutto. Che devono fare gli investitori internazionali dei titoli italiani che posseggono?
Sulla vicenda Banca d’Italia le opinioni si sprecano, ma i nostri grandi banchieri tutti zitti. Chiedo: vi va bene così? È questo il mondo in cui vi piace lavorare? Dal vostro silenzio devo concludere che lo sia.
S&P teme che le elezioni non risolveranno nulla: «Entrambi gli schieramenti sono divisi, è difficile che chiunque vinca abbia la forza per raddrizzare la situazione». Mi colpisce che questo si dica dell’Italia e non della Germania che vota fra un mese, in mezzo a contraddizioni simili, un segnale che dovrebbe preoccuparci.
Il centrosinistra pensa alle primarie di ottobre, il programma, dice Prodi, verrà dopo. È un lusso che non si può permettere. Più tardi illustrerà il suo programma, più difficile sarà la situazione che, se vincerà, si troverà a dover affrontare.
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