Decreto Dignità: lavoro intermittente facilita inserimento giovani nel mercato del lavoro
Il lavoro intermittente, o “a chiamata”, rimane uno dei pochi strumenti di flessibilità per le imprese e facilita l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. A dirlo è l’avvocato Edgardo Ratti in un’intervista concessa a Wall Street Italia.
“Dopo il Decreto Dignità, il lavoro intermittente si conferma uno dei pochi strumenti di flessibilità rimasti per le imprese”, dice il socio fondatore di Littler. La disciplina dell’istituto non è stata infatti toccata dalle modifiche legislative che hanno invece dato un consistente giro di vite al ricorso ai contratti a termine e alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
“Lavoro intermittente favorisce l’inserimento dei giovani”
I contratti a chiamata sono consentiti se non superano i 400 giorni in tre anni di tempo. Al contrario del lavoro autonomo, è un tipo di lavoro subordinato. È il datore di lavoro che stabilisce tempi e modi in cui sarà svolta la prestazione. Essendo uno strumento per inquadrare un lavoratore in periodi di picco dell’attività – come per esempio sotto Natale – risulta particolarmente utile per le imprese del settori terziario (turismo, spettacolo, moda).
“Il lavoro intermittente – o a chiamata che dire si voglia – continua a consentire alle aziende di avvalersi della prestazione lavorativa al bisogno, previa chiamata del lavoratore con un congruo preavviso; il che permette di gestire le punte di attività”. La casistica in cui è lecito avvalersi del lavoro a chiamata “è peraltro piuttosto ampia”. E in alcuni settori, come ad esempio a quello del fashion ed alle relative campagne vendita, l’istituto è ampiamente diffuso con ottimi risultati”.
“Una notizia buona quindi c’è e ci si augura che non vengano effettuati, ora più che mai, interventi restrittivi su tale istituto e ciò considerando che esso non solo rappresenta uno strumento di flessibilità per il mondo delle aziende ma ha anche un’utilità sociale laddove facilita l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani e di quelli che al contrario hanno raggiunto un’età matura che ne potrebbe rendere più difficile l’occupazione“.
Contratti fissi in crescita: i risultati del Decreto Dignità
Negli ultimi sei mesi dell’anno scorso è vero che l’Italia ha perso più di 75 mila occupati. Ma non si tratta di posti di lavoro bensì di contratti anche occasionali e impieghi “intermittenti”. Per occupati si intendono le persone con più di 15 anni che hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuita”.
A maggio 2018, ultimo mese prima che si insediasse il governo Conte il primo giugno, gli occupati secondo l’Istat erano 23,345 milioni. A dicembre 2018, ultimo dato disponibile all’8 febbraio 2019, gli occupati erano diminuiti a 23,269 milioni.
Per quanto riguarda le tipologie di contratto, sono in crescita sia quelli fissi a tempo indeterminato sia quelli precari. Come specifica l’agenzia stampa Agi in un fact checking recente, “sulla base dei dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, l’andamento dei nuovi contratti a tempo indeterminato stipulati dopo il cosiddetto “Decreto Dignità” è più o meno in linea con l’andamento negli stessi mesi dell’anno precedente”.
Dopo un calo visto in estate da settembre a ottobre il numero dei nuovi contratti è aumentato. “Grazie all’edizione più recente del report dell’Inps possiamo aggiungere all’elenco anche novembre”. Questo tipo di contratti non è dunque calato, ma ha avuto un andamento altalenante nel 2018.
Tra 2017 e il 2018, complice anche il miglioramento dell’economia, i contratti a termine e apprendistati sono stati trasformati sempre più spesso in contratti a tempo indeterminato. Tale dinamica di forte incremento, sottolinea l’AGI, “era già cominciata, nel 2018, prima del Decreto Dignità, anche se successivamente si irrobustisce“.