Mentre il governo è impegnato sul Def, il documento che dovrebbe contenere le previsioni e gli interventi di politica economica dei prossimi mesi, arriva l’ennesima previsione negativa sulla crescita del Pil per l’anno in corso. Questa volta è il Fondo monetario internazionale ad esprimersi, tagliando la stima dello scorso gennaio di cinque decimali a +0,1%. Invariata, invece la previsione di una crescita dello 0,9% nel 2020.
In queste ore il dibattito fra i due partiti di governo si sta concentrando sulla flat tax, provvedimento di marca leghista che il vicepremier Matteo Salvini vorrebbe rispettare nella sua essenza: disponendo un’aliquota che sia unica, e – per definizione – “non progressiva”. Il M5s, al contrario, punterebbe alla formulazione contenuta nel contratto di governo, che prevede una riduzione del numero delle aliquote a tre (attualmente sono cinque). Il governo sta anche cercando un modo per sterilizzare l’aumento dell’IVA.
Tria: “manovra toccherà entrate e spese”
Nel mezzo dei due fuochi resta il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. In un’intervista rilasciata a Repubblica, il titolare di Via XX Settembre ha espresso posizioni nette sulla questione, venendo meno alla consueta moderazione:
Nel Def “si specificherà che si sta lavorando perché la legge di Bilancio accolga una continuazione delle riforma fiscale nella direzione del programma di governo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati nello stesso Def che stiamo varando. Evidentemente si tratta di una manovra complessa che dovrà toccare sia il lato delle entrate sia il lato delle spese“. Finora, il vicepremier Luigi Di Maio ha escluso che possano essere introdotti rincari dell’Iva o tasse patrimoniali.
I conti, inoltre, risentiranno dei nuovi criteri di calcolo del rapporto tra debito e Pil, che includeranno nella componente del debito delle amministrazioni pubbliche anche quelli relativi alla Rete ferroviaria italiana, Ferrovie Nord e ad alcune amministrazioni regionali. Questa revisione, secondo i calcoli di Bankitalia, è già “costata” un decimale di debito/Pil in più per quanto riguarda il 2018.
Stime sul Pil e spauracchio del debito pubblico
La bozza del Def mostra che il governo stima un’espansione dell’attività dello 0,1% quest’anno, molto sotto il più 1% previsto al momento della stesura della legge di bilancio per il 2019.Si tratta di valori in linea con quelli preventivati dalla Commissione Europea.
Tra i fattori dietro al rallentamento del tasso di crescita l’FMI ha citato l’indebolimento del commercio mondiale, che non può che essere una cattiva notizia per un paese esportatore come l’Italia, e un calo pesante degli investimenti interni. Detto questo nel quarto trimestre il Pil accelererà allo 0,6% rispetto all’analogo periodo 2018, mentre nel 2020 l’espansione dovrebbe essere dello 0,9%.
In merito al rallentamento della crescita italiana Tria aveva affermato:
“I Paesi più colpiti in Europa, sono le due principali potenze manifatturiere, ossia Germania e Italia… ma la differenza tra il nostro Paese e loro si mantiene costante”. La recessione degli ultimi mesi, poi, non può essere attribuita alle misure del governo: “Qualunque cosa si possa pensare della legge di bilancio per il 2019, compreso il reddito di cittadinanza e quota 100, questa non ha ovviamente ancora dato i suoi effetti. Bisognerà aspettare la seconda metà dell’anno per vederne qualcuno, così come per vedere gli effetti delle misure urgenti per la crescita che spero siano approvate questa settimana”, ha detto Tria.
Ma il vero macigno per le prospettive economiche dell’Italia rimane il debito. Il deficit è visto salire al 2,7% nel 2019 e al 3,4% l’anno successivo. Quanto al debito pubblico, dal 132,2% del 2018 si passerà prima al 133,4% del PIL nel 2019, poi al 134,1% nel 2020 e, in prospettiva, addirittura al 138,5% nel 2024.
Questi numeri sono il motivo che spinge l’FMI a lanciare un monito sullo Spread. Nell’editoriale di primavere si nota che la fiducia nella solidità finanziaria italiana è in bilico e che va tenuto conto della possibilità di una perdurante incertezza e tassi elevati in Italia – soprattutto se questi dovessero unirsi a una recessione più profonda del previsto – con possibili ricadute per gli altri paesi dell’Eurozona“.