Non si può superare il 3% del rapporto deficit Pil.
Questo è uno dei principali dogmi dell’Ue, insieme al fiscal compact ed alle politiche di austerity per non far salire l’inflazione, cosa che la Germania vede come fumo negli occhi.
Nel “Patto di stabilità e crescita” stipulato dai Paesi membri dell’unione europea vi è infatti, tra le altre, la regola prevedente un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil (appunto: rapporto deficit/Pil <3%).
Se il disavanzo di un Paese membro si avvicina al tetto del 3% del Pil, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, un “avvertimento preventivo” (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto.
Se, a seguito della raccomandazione, lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso può essere sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo.
L’ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2% del Pil ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%. È comunque previsto un tetto massimo all’entità complessiva della sanzione, pari allo 0,5% del PIL.
Se invece lo stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3%. Se le stesse misure si rivelano però inadeguate, la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata.
Volendo però capire da dove nasca questo numero, ovvero il 3%, indicato come spirito guida per la stabilità e la crescita europea, vediamo che scientifico c’è ben poco, per non dire nulla.
Il 3%, infatti, come riportavano anche Il Sole 24 Ore, il francese Aujourd’hui en France – Le Parisien ed il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, nacque così: dopo la vittoria alle elezioni francesi del 1981, i socialisti di Francois Mitterand, per mantenere le costose promesse elettorali avevano portato il deficit da 50 a 95 miliardi di franchi.
Per “darsi una regolata” Mitterrand incaricò Pierre Bilger, a quel tempo vice direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze, di implementare una regola per evitare spese pubbliche all’impazzata.
Bilger contattò due giovani esperti che avevano una formazione economica e matematica all’Ensae: Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin, e Guy Abeille.
Fu proprio quest’ultimo a tirare fuori dal cilindro il nostro famoso “3% sul rapporto deficit/Pil”; per sua stessa ammissione, questo paletto nacque senza alcuna base scientifica.
“Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6% del Pil. Se in quel momento il rapporto fosse stato al 2% o al 4%, avremmo preso quel numero come parametro. Nasceva dalle circostanze, senza un’analisi teorica”.
Che poi continua: “Abbiamo stabilito la cifra del 3% in meno di un’ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità”.
In quel momento il rapporto deficit Pil della Francia era pari al 3% e questo numero venne preso non solo per buono, ma tramutato in un vero e proprio pilastro delle regole economiche europee.
Il 3% venne infatti utilizzato anche 10 anni dopo, quando a Maastricht bisognava trovare una regola per l’unione monetaria. L’allora capo del Tesoro francese Trichet, disse “noi abbiamo un numero che ha funzionato benissimo in Francia: il 3%”.
Conclude infine Guy Abeille: “quando c’era bisogna di motivare questo paletto, gli economisti hanno provato a formulare teorie economiche su teorie economiche, ma io posso assicurare che le cose sono andate proprio come ho detto”.
Una regola aurea che, dunque, si basa praticamente sul caso, sul nulla.
Il video dell’intervista è reperibile al seguente link.