Nessuno dimentichera’ mai il giorno in cui venne dichiarato il default dell’Argentina. Era il 2002 e Buenos Aires venne scaricata da tutti. Gli investimenti stranieri abbandonarono letteralmente il Paese e i flussi di capitale nelle casse argentine hanno cessato di esistere. Il governo ha dovuto fare i conti con ostacoli insormontabili per provare a rifinanziare il debito. Lo stato si e’ visto allora costretto a privarsi di denaro e le riserve della Banca Centrale in valute straniere sono andate utilizzate quasi interamente.
Sotto il profilo macroeconomico, tutto e’ iniziato con la diminuzione del PIL nel 1999 e finito nel 2002 con il ritorno alla crescita economica, ma le origini del collasso dell’economia argentina e gli effetti sulla popolazione risalgono a molto tempo addietro. Lo stesso si puo’ dire della situazione greca.
Come otto anni fa, non saranno solo i cittadini greci a pagare per la crisi di Atene, bensi’ tutto il mondo e tutti i possessori dei famigerati bond. Il rischio di un contagio e’ reale e correre in soccorso di una nazione non sara’ cosi’ semplice come offrire un piano di aiuti alle banche (crisi subprime docet).
Anche allora le politiche del presidente Carlos Menem prima (il peronista arrivo’ al potere in un contesto iper-inflazionistico, legato al tentativo del presidente radicale Alfonsin di applicare un programma neoliberale di svalutazione della moneta) e Fernando De La Rua poi, a cavallo tra fine anni ’80 e primi anni ’90, non sono state le sole responsabili del caos, ma sono state utilizzate come un capro espiatorio politico conveniente. Lo stesso vale per Atene, dove a causa dello scontento generale, le proteste popolari sono dilagate come un fiume in piena.
Sia analizzando l’uragano dei CDS, che il debito, la politica e i disordini vari, si scopre che le analogie sono tantissime: la crisi del debito sovrano, un tasso di cambio sopravvalutato e anche l’appartenza ad un blocco: l’Argentina faceva parte difatti di un’unione monetaria di cui non e’ riuscita a rispettare i criteri fondamentali.
Cosi’ come la Grecia, l’Argentina ha tentato di tagliare gli stipendi e i prezzi (innescando le proteste dei sindacati), ma la deflazione si e’ rivelata un ostacolo troppo grande. Come e’ finita lo sappiamo tutti, con un default del debito sovrano nel 2001 (dopo che gli argentini sono corsi in massa a ritirare i soldi dalle banche per convertirli in dollari) e con i legami tra peso e dollaro interrotti, anche se avevano solo dieci anni di vita ed erano considerati un legame importante. Non solo la Grecia, ma anche gli altri PIIGS ora sembra che potrebbero fare la stessa fine.
Il PIL greco rappresenta solo il 2.5% della crescita economica complessiva dell’UE, ma se il sistema bancario greco dovesse lasciare la zona euro, il conto da pagare sarebbe salato. Tuttavia se si guarda al caso argentino, Buenos Aires ha dovuto vedersela con problemi simili ed ha finito per abbandonare il dollaro, percio’ mai dire mai. La crisi greca sottolinea quanto sia importante che tutti rispettino i criteri stabiliti dall’unione monetaria.
Per quanto riguarda la situazione dei mercati, i punti di incontro diventano addirittura impressionanti. Il CDS (credit default swaps) sui titoli di stato di Atene avevano registrato un minimo assoluto il 4 agosto 2009 a quota 100, prima del downgrade di S&P di martedi’ quotavano 710 e subito dopo sono saliti di 104 punti base a un massimo di 814. Mercoledi’ il livello e’ arrivato sino a 900 punti. Livelli simili furono toccati dai CDS (il costo per assicurarsi contro il rischio di bancarotta del paese, con riferimento ai tioli di Stato emssi sul mercato finanziario, cioe’ all’indebitamento complessivo del paese) sui tango-bond prima del default.
Ma a livello di rapporto tra debito e Pil e tra deficit/Pil la Grecia e’ messa molto peggio. Nel 2001 il rapporto in Argentina era rispettivamente del 62% e del 6.4%. Alla fine dell’anno scorso, quelli greci erano al 114% e al 12.7%, praticamente il doppio. L’Argentina usci’ dai circuiti della finanza mondiale con un buco da 95 miliardi di dollari. Ad oggi il deficit di bilancio della Grecia e’ pari a 32.34 miliardi di euro, il 13.6% del PIL.
Lo swap offerto agli argentini e alle altre persone in possesso di tango-bond e’ stato del 35%, il peggior “recovery rate” nella storia del debito sovrano. Solo il 76% della gente accetto’ i termini, gli altri si rifiutarono. Ma il triste record e’ destinato ad essere presto superato. Con oltre meta’ dei bond greci circolanti che scambiano ad un prezzo in contanti pari a quello degli anni ’90, se la Grecia dovesse fallire (il rischio implicito dal mercato dei CDS e’ di oltre il 30% nei prossimi cinque anni) allora gli investitori perderanno meta’ dei loro soldi.
Per arginare la crisi il messaggio di Bruxelles continua a essere quello di lasciare risolvere il problema Grecia all’interno della mura di casa. Ma la realta’ e’ molto piu’ complessa. Una crisi innescata dalle decisioni dell’amministrazione greca e’ poi finita per svilupparsi in tre temi portanti: la riluttanza di Atene a ingoiare la pillola dal cattivo sapore dei tagli di bilancio prescritta loro dalla Ue, l’outlook a medio termine della moneta unica e il ruolo a lungo termine che avra’ l’Europa nello scenario in rapido cambiamento dell’economia mondiale.
Come ha detto bene Nouriel Roubini, il professore di economia della New York University che previde la scorsa crisi finanziaria: “Se la Grecia va a picco per la Zona Euro e’ un problema, se va giu’ la Spagna e’ un disastro”.
La differenza e’ che la Grecia ha l’euro e fa parte di un blocco mai prima d’ora cosi’ in crisi. Il caso dei PIIGS e’ emblematico del problema che Bruxelles si trova a dover risolvere. I Paesi non sono dotati delle infrastrutture umane e fisiche necessarie per essere piu’ competitivi, tuttavia e’ proprio in quelle aree – investire nella costruzione di strade, universita’ e capacita’ personali – che la scure si abbattera’.
Cio’ presenta un problema che non riguarda solo il presente, ma anche il futuro e pertanto va affrontato subito, prima che l’invecchiamento della generazione dei baby boomer non riempia troppo le mani dei governi nazionali. L’Europa rischia di accusare un netto calo della popolazione lavorativa.
Nel caso dell’Argentina allora la medicina somministrata dal FMI non fu sufficiente. Difficilmente lo saranno i 135 miliardi di euro promessi dalla Ue e dal Fondo ad Atene.