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Disoccupazione in calo ad agosto, ai minimi da 14 anni. Un trend destinato a durare?

Sono stati diffusi i dati sulla disoccupazione in Italia da parte dell’ISTAT. E la situazione è decisamente buona: si registra per il mese di agosto una crescita generale del numero dei posti di lavoro occupati, supportata in particolar modo dai contratti a termine anche da quelli permanenti. Il tasso di disoccupazione è addirittura così basso che ha segnato un nuovo traguardo a livello decennale: il migliore dal 2009.

Per quanto la situazione sia positiva, c’è da dire che questo trend potrebbe subire nei prossimi mesi una battuta d’arresto, a fronte anche del fatto che l’aumento dei posti deriva solo da fattori “temporanei”, come l’assunzione a tempo determinato. Il Governo dovrà infatti sviluppare al più presto una serie di misure atte a proteggere questo trend, specie con avvisaglie all’orizzonte come la fine dell’RDC e il supporto alle assunzioni previsto in Manovra. Anche perché la manifattura non sta andando così bene, e ben il 97% delle aziende italiane appartiene al mondo delle micro-imprese e delle PMI.

ISTAT, disoccupazione al 7,3% grazie a dipendenti a termine e permanenti

Con la pubblicazione dei dati ISTAT sulla disoccupazione di agosto 2023 si ha davanti uno scenario buono, in termini di numeri di posti occupati. Soprattutto se rapportato al calo registrato a luglio. Se prima a luglio il tasso era al 7,5%, ad agosto si registra un 7,3%. È da gennaio 2009 che non si registra un dato del genere per quanto riguarda la disoccupazione. A sua volta, il tasso di occupazione sale di 0,1% rispetto a luglio, andando a 61,5%, con ben 59.000 posti di lavoro in più.

A trainare questo trend positivo sono due tipologie di dipendenti: quelli a termine, aumentati di 39.000 unità in un mese; e quelli permanenti (ovvero a tempo indeterminato), aumentati di 550.000 unità, ma in un anno.

Dunque, da una parte abbiamo un aumento tendenziale sostenuto da contratti a tempo indeterminato, ma dall’altra abbiamo una crescita congiunturale sostenuta dai contratti a tempo determinato. Significa che nell’ultimo anno le aziende si sono trovate in una situazione tale da poter garantire contratti permanenti, mentre di recente ha prevalso nella filiera nazionale la proposta dei contratti a termine.

Quest’ultima scelta potrebbe influenzare l’andamento della disoccupazione nei prossimi mesi, se le aziende non provvederanno a stabilizzare i contratti con la trasformazione da determinato a indeterminato.

Grazie all’ultimo dato ISTAT si è registrato un altro calo della disoccupazione giovanile, ora al 22%, anche se ancora troppo alta per gli standard europei, scesa al 13,8% nell’Eurozona.

Il timore di un aumento: i dati dell’indice Pmi manifatturiero

Perché la disoccupazione rimanga bassa, occorre che le aziende siano messe nelle condizioni di garantire salari e posti di lavoro. Per il mese di settembre è già disponibile il dato sull’indice PMI manifatturiero, l’indicatore-sondaggio che segnala l’andamento della filiera manifatturiera nazionale secondo quanto raccontato dai direttori agli acquisti delle aziende. E anche in questo caso la situazione è positiva: dal 45,4 di agosto si è arrivati al 46,8. Un ottimo incremento, anche se non ancora “fuori pericolo”.

Perché se è inferiore a 50, è segnale che la filiera si trova in una fase di recessione economica. La situazione è dovuta al calo della domanda generalizzato, che ha portato addirittura a luglio a registrare 43,4 punti, il dato più basso del periodo post-pandemico (si ricordi che durante il lockdown l’indice raggiunse i 31,1 punti, il dato peggiore mai registrato).

Meno ottimista è la Hamburg Commercial Bank, che vede per il PMI Italia una situazione “bloccata in uno stato di profonda depressione con nessuna chiara via d’uscita.“, come commenta l’analista economico Tariq Kamal. L’intero circuito sembra essere in crisi: dalla produzione ai nuovi ordini, passando dalla quantità degli acquisti fino al livello del lavoro inevaso. Ma il problema è in realtà generale: la stessa Germania ha raggiunto quota 39,6, con un aumento dello 0,5 a livello congiunturale. E nel complesso l’Eurozona si trova a 43,4, registrando così il suo quindicesimo mese consecutivo in cui l’indice principale registra un valore inferiore del 50.

Il problema è che con oltre 4,2 milioni di imprese, tra micro e PMI, che danno lavoro a oltre il 77% degli addetti (dati ISTAT Imprese 2020), una loro contrazione negli acquisti e quindi nella produzione in generale potrebbe essere un’avvisaglia oscura non solo per la salute delle imprese, ma anche per il mantenimento dei contratti a termine da cui dipende questo mese il calo della disoccupazione. Nell’ultimo anno la trasformazione dei contratti ha coinvolto solo 8.000 lavoratori, secondo l’INPS.

Il fuoco incrociato tra RDC e bonus assunzioni

Il Governo affronterà un autunno caldo, tra proposte e misure che dovranno proteggere il trend positivo dell’occupazione. Tra tre mesi il Reddito di Cittadinanza non ci sarà più, e al suo posto ci sarà l’Assegno per l’Inclusione Sociale e centinaia di migliaia di famiglie senza più supporto economico.

Per gli “occupati” sono già disponibili le misure di Supporto per la Formazione e il Lavoro, ma nonostante il SIISL sia completamente diverso rispetto a quello dei navigator, rimangono ancora molti punti opachi su come le risorse ex RDC potranno rispecchiare le necessità imprenditoriali. Anche perché non risultano protocolli d’intesa con le associazioni datoriali che si impegnano ad assumere iscritti al Sfl. Questo strumento sarà il perno per impedire a oltre 25.000 famiglie di precipitare nella povertà dopo il 31 dicembre.

A sua volta il Governo dovrà perfezionare ulteriormente le misure atte a supportare l’inserimento di neo-lavoratori od over 50. Tali “bonus assunzioni”, negli ultimi anni, hanno potuto contribuire a sanare (anche se parzialmente ) ambiti come l’occupazione giovanile. Prendendo ad esempio il caso della decontribuzione giovanile, un rapporto INPS di luglio 2022 ha segnato un incremento nella possibilità di venire assunti del 20% per gli under 35, anche se, secondo l’economista Enrico Rubolino, ricercatore presso l’Università di Losanna, ha segnato comunque un impatto quasi nullo sulle retribuzioni, in particolare quelle femminili.