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Dopo il falò delle vanità, pronto il falò dell’austerità

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MILANO (WSI) – Il 7 febbraio 1497, martedì grasso, migliaia di fiorentini seguirono il frate domenicano Girolamo Savonarola in processione fino in piazza della Signoria dove un rogo alto trenta braccia era stato allestito con cura meticolosa nei giorni precedenti. Tra canti e inni un gruppo di Fanciulli, le squadre di ragazzini che fungevano da polizia morale al servizio del frate, appiccò il fuoco. Quadri di valore inestimabile, gioielli, libri preziosi, parrucche, liuti, cosmetici e tutto quanto appariva frivolo e peccaminoso finì distrutto. Si dice che il Botticelli, un savonaroliano entusiasta, avesse portato al rogo alcuni quadri troppo profani che si era pentito di avere dipinto. Un mercante veneziano aveva offerto la somma enorme di 20mila ducati per rilevare gli oggetti raccolti, ma la sua proposta fu respinta.

Poco più di un anno dopo, all’alba del 23 maggio 1498, Savonarola e due altri frati furono portati nello stesso luogo, impiccati e bruciati su una catasta cosparsa di polvere da sparo. L’assenza di prodigi o segni dal cielo lasciò interdetti i seguaci che ancora veneravano Savonarola e alcuni di loro, dicono le cronache, persero la fede. Le ceneri furono disperse in Arno per impedire la nascita di un culto postumo nel luogo dell’esecuzione.

L’austerità volontaria richiede, per durare nel tempo, personalità particolari. Su larga scala, tuttavia, non dura mai molto a lungo. Il Terrore di Robespierre, il moralista ghigliottinatore, finisce dopo qualche mese con Robespierre ghigliottinato e con le feste lussuose e i balli stravaganti della Gioventù Dorata, degli Incredibili e delle Meravigliose.

Quella in corso su scala europea non è ancora una reazione termidoriana all’austerità autoinflitta, ma è certamente un progressivo sgretolamento dei capisaldi teorici e pratici di quella che è stata in questi anni la dottrina ufficiale di Berlino, Francoforte e Bruxelles. A livello teorico una seria riconsiderazione degli effetti negativi dell’austerità, molto superiori alle previsioni dei modelli, è in corso da alcuni mesi all’interno del Fondo Monetario Internazionale. L’autocritica sul calcolo del moltiplicatore fiscale (quanti euro di Pil si perdono per ogni euro di stretta) si è fatta via via più severa. In parte, alla base della revisione, possono esserci ragioni di opportunità politica (sul Fondo pesano in modo sproporzionato gli interessi francesi), ma c’è sicuramente anche una componente di onestà intellettuale.

Il moltiplicatore fiscale, un tempo stimato sotto l’unità, è così salito a 1.5. Quanto alla dose ottimale di austerità per i paesi in disavanzo, fino all’anno scorso il Fondo parlava di due punti di Pil all’anno (l’Italia di Monti ha provato a fare anche di più), mentre oggi si è molto più cauti e sfumati e si propongono percorsi di rientro morbidi e lunghi.

Sempre a livello accademico, un certo numero di falle statistiche e metodologiche è stato riscontrato nei lavori di Alesina-Ardagna e di Reinhart-Rogoff che hanno ispirato negli ultimi due anni il partito dell’austerità. Il primo, che era piaciuto molto alla Merkel, citava una serie di casi in cui politiche fiscali restrittive hanno preceduto fasi di ripresa e spiegava il fenomeno con un aumento della fiducia. Critici corrosivi hanno creduto di ritrovare invece nel rialzo azionario globale (e nei maggiori introiti fiscali derivanti dall’imposizione sui capital gain) le vere ragioni del miglioramento dei conti pubblici e della ripresa successiva in alcuni dei paesi citati.

Quanto a Reinhart-Rogoff, che nel 2010 avevano rilevato una correlazione tra alto indebitamento e bassa crescita in una serie di paesi, uno studente di Harvard che ha rifatto i calcoli ha riscontrato un clamoroso errore, in parte ammesso da Rogoff, nell’impostazione del foglio Excel utilizzato dai due studiosi. Alla fine la tesi di Reinhart-Rogoff non esce smentita, ma viene seriamente ridimensionata.

Sul piano pratico, che le dosi di austerità somministrate finora in Europa siano sbagliate è dimostrato dal circolo vizioso in cui sono caduti Portogallo, Italia e Spagna, dove politiche fiscali sempre più dure non riescono più a ridurre il disavanzo perché il Pil scende ancora più in fretta. L’impossibilità di vedere una qualsiasi luce in fondo al tunnel è anche alla base, in questi paesi, del logoramento evidente del consenso verso il progetto stesso dell’euro.

La Germania, che nell’agosto scorso ha abbandonato la difesa a oltranza dell’austerità monetaria nell’Eurozona, dalla fine del 2012 ha di fatto ripiegato parecchio anche sul piano dell’austerità fiscale. Non per sé stessa naturalmente (ha chiuso il 2012, a sorpresa, con un surplus di bilancio dell’uno per cento) ma per Francia, Spagna, Portogallo e Italia ha condonato sforamenti anche consistenti per l’anno scorso e si prepara ad accettare obiettivi molto blandi per il 2013. Obiettivi, si noti, che verranno sicuramente mancati a consuntivo.

Si intravede sempre più chiaro un congelamento dell’austerità per il 2013 e il 2014, poi si vedrà. I principi sono salvi e si va ancora tutti, a parole, verso il disavanzo zero. La Germania, come sempre, è però molto più pragmatica di come la si dipinge e si rende perfettamente conto che non si può continuare così. La cancelliera Merkel, d’altra parte, pur rimanendo costantemente in testa nei sondaggi sulle politiche del 22 settembre, sa che nulla è scontato. Alcune consultazioni regionali sono andate molto peggio del previsto, l’economia tedesca ha una crescita molto debole e una ricaduta in uno stato di crisi acuta dell’Eurozona prima del voto va assolutamente evitata.

Le borse e i bond europei stanno fiutando nell’aria questo nuovo clima e cercano giustamente di festeggiare. La fine dell’austerità riduce il rischio di implosione politica, sociale ed economica di Eurolandia ed è corretto valutare in modo meno severo gli asset finanziari.

Ci sono però tre problemi. Il primo è che quella tedesca è una ritirata tattica, non una conversione. I solidi principi cui si ispira la Germania (non vivere al di sopra dei propri mezzi, non comprare crescita a debito, contare sulle proprie forze) sono categorie morali prima ancora che economiche e preesistono ad Alesina-Ardagna e a Reinhart-Rogoff. L’austerità monetaria e fiscale può essere sospesa in attesa di tempi più propizi, ma rimane la stella polare da seguire. La Germania intende quindi cedere terreno in modo ordinato e controllato e chiede in compenso un prezzo molto alto, quello che abbiamo visto a Cipro. Ognuno dovrà sistemare i suoi disastri con i soldi suoi. Basta con le donazioni da fuori, come è stato per la Grecia.

Il secondo problema è che sarebbe molto stupido (e sarebbe davvero l’anticamera dell’uscita dall’euro) se Francia, Spagna, Portogallo e Italia usassero questi due anni di tregua per rimanere rigidi e non competitivi. Alla fine ci si troverebbe infatti al punto di partenza, ma con un debito ancora più alto. Viene male a leggere (su linkiesta.it) di un sondaggio dell’Istituto Ifo e dell’agenzia di lavoro interinale Randstad da cui risulta che le piccole imprese tedesche, in particolare in Baviera e nel Baden, cercano disperatamente di assumere personale (qualificato e non) e ricevono pochissime candidature da Italia, Spagna e Portogallo. Il rischio di sprecare questi due anni di tregua così come si sono sprecati i primi dieci anni di euro è fortissimo.

Il terzo problema è che l’austerità, messa in un angolo in Europa, ha trovato una nuova patria in America. La differenza è che la stretta fiscale americana, iniziata in realtà l’anno scorso a livello locale e ora spostatasi a livello federale, viene calata su un’economia alla quale è stato lasciato il tempo di riprendersi e irrobustirsi. Facendo le cose meno istericamente che in Europa, l’America consegue il doppio vantaggio di continuare a crescere e di avere una riduzione del suo disavanzo molto più rapida di quella dell’Eurozona.

America ed Europa hanno un fattore importante in comune. I prossimi due anni non vedranno altre battaglie politico-ideologiche sul fronte fiscale. Niente più debt-ceiling, niente più fiscal cliff e soprattutto niente nuove tasse, con l’eccezione dell’autolesionistica Tobin Tax che la Merkel vuole imporre a tutti solo per sfilare un argomento alla Spd.

Alla tregua fiscale la Bce aggiungerà presto un taglio dei tassi e altre misure allo studio. L’economia europea va male e ai mali consueti si è aggiunta la debolezza dello yen, che pesa particolarmente sulle imprese tedesche. Abbiamo visto nel recente passato, con le operazioni di Ltro e con l’Omt, che la Bce di Draghi è pronta, al bisogno, a inventare soluzioni molto apprezzate dai mercati. Questa volta borse e bond giocano d’anticipo e cominciano a scontare fin da ora le misure che verranno annunciate nelle prossime settimane.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.