ROMA – Collegi uninominali a doppio turno, quota proporzionale, diritto di tribuna. La nuova bozza di riforma elettorale del Pd somiglia alla legge ungherese, anche se Pier Luigi Bersani ci tiene a dire che è molto italiana. Nel vertice del partito di ieri lo stesso segretario ha chiesto di aggiungere al testo preparato da Luciano Violante e Gianclaudio Bressa il divieto di costituire gruppi parlamentari non corrispondenti alle liste presentate alle elezioni. Il risultato, non scontato per il Pd, è stata l’unanimità raggiunta nel vertice, a cui hanno partecipato Veltroni, D’Alema, Marini, Marino e tutti i maggiorenti del partito. Bersani ha poi aggiunto che la proposta è offerta innanzitutto al confronto «con le forze di opposizione».
Perché l’iniziativa del Pd, visto che il dibattito sulla legge elettorale appare ancora immaturo? Bersani ha respinto sdegnato a chi sospettava di una risposta Pd ad un ammiccamento leghista. Nella riunione è stato in particolare D’Alema a insistere sulla necessità di discutere con tutte le forze di opposizione per rafforzare la convergenza proprio sui temi istituzionali. Ovviamente la mossa Pd sarebbe incomprensibile se dalla stessa maggioranza non fossero stati lanciati, per la prima volta in modo esplicito, segnali di disponibilità a modificare il Porcellum. Ma ci sono anche ragioni interne che hanno spinto Bersani ad esporsi.
La prima ragione è che sta per partire una nuova serie di referendum elettorali (eliminazione del premio di maggioranza, reintroduzione delle preferenze, divieto delle candidature multiple): il promotore è Stefano Passigli e con lui ci sono molti esponenti Pd, Cgil e del centrosinistra.
Violante ha perciò convinto Bersani ad accelerare, anche per evitare che l’iniziativa referendaria allargasse le divisioni del Pd. La seconda ragione è dimostrare che il Pd – dove pure coesistono preferenze per il proporzionale e filosofie ultramaggioritarie – è in grado di mantenere una sua unità interna anche inoltrandosi nel difficile ma unico campo possibile di mediazione, cioè quello dei sistemi misti.
Fin qui l’unità del Pd era garantita solo dall’astratta adesione al modello francese (privo del consenso necessario). La bozza Violante-Bressa invece rappresenta un passo avanti. Secondo il progetto, i partiti si presentano nel primo turno con il volto dei loro candidati nei collegi uninominali. Solo i partiti che superano la soglia di sbarramento possono concorrere al riparto proporzionale (il 30% dei seggi secondo la schema-base, ma su questo e altri punti la proposta è aperta), mentre chi è sotto la soglia può ottenere al massimo una rappresentanza simbolica attraverso il diritto di tribuna.
Nei collegi (65% dei seggi nello schema-base) vince chi raggiunge il 50,1% dei consensi. Se nessuno li ottiene al primo turno, al secondo sono ammessi tutti i candidati che superano il 10% dei voti salvo che desistano sulla base di accordi. Vuol dire che tra il primo e il secondo turno si formeranno davanti agli elettori le coalizioni di governo. Ma vuol dire anche che le coalizioni non saranno coatte: una forza intermedia può rifiutare apparentamenti (in questo caso però rischia di pagare un costo in termini di rappresentanza parlamentare).
Il consenso interno è stato confermato da Walter Veltroni e Ignazio Marino. Pier Ferdinando Casini e Antonio Di Pietro, a cui Bersani si è rivolto, hanno mantenuto invece un atteggiamento cauto e prudente. «Bisogna fare ancora molta strada» ha detto il leader Udc. Non ha risparmiato la critica Arturo Parisi: «Non vorrei che queste esercitazioni coprissero la disponibilità a lasciare intatto il Porcellum».
Copyright © Il Messaggero. All rights reserved