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Draghi è stato frainteso dai mercati?

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Forse i mercati hanno frainteso le parole pronunciate da Mario Draghi a Sintra, la scorsa settimana, in occasione del Forum della Banca centrale europea. Nei giorni immediatamente successivi, infatti, l’euro si è apprezzato di oltre il 2% rispetto al biglietto verde, portandosi sopra quota 1,14, accompagnato da una risalita dei tassi governativi e da un irripidimento della curva dei rendimenti tedesca.

“La reazione è stata eccessiva – chiosa Matthias Hoppe, senior vice president e portfolio manager di Franklin Templeton multi-asset solutions -. I commenti positivi del presidente della Bce sono stati interpretati come un segnale che la fine delle politiche monetarie accomodanti possa essere in vista. Al contrario, siamo convinti che i mercati abbiano sovrastimato l’ottimismo di Draghi”.

Il timore di alcuni investitori è che Francoforte, rassicurata dal consolidamento delle ripresa nel Vecchio Continente – in sincronia, per la prima volta da parecchio tempo, con la crescita delle altre principali aree del mondo – sia pronta a staccare la spina dello stimolo monetario. Si tratta però, con ogni probabilità, di una paura infondata: anche se a fine anno la Bce dovesse ridurre ulteriormente l’ammontare degli acquisti nell’ambito del suo programma di allentamento quantitativo

 

 “non ci aspettiamo un imminente rialzo dei tassi d’interesse né un vero e proprio tapering che – osserva Hoppe – implicherebbe un preciso epilogo per il piano da 60 miliardi in acquisto su base mensile”.

I tempi dunque non sembrano essere maturi. Soprattutto perché le aspettative di un rialzo dei prezzi al consumo sono andate deluse, di recente, sia in Europa che negli Stati Uniti.  A giugno, secondo la stima flash di Eurostat, il tasso annuale d’inflazione si attesterà all’1,3%, in calo rispetto all’1,4% di maggio e all’1,9% del mese precedente. E secondo il gestore, proprio sulla dinamica dei prezzi, Draghi sarebbe molto meno ottimista di quanto alcuni osservatori pensino. Durante il suo intervento, infatti, il presidente della Bce ha sottolineato come il meccanismo di trasmissione che traduce il rafforzamento della domanda in crescita dell’inflazione sia stato meno efficace rispetto ai cicli precedenti. L’ex governatore di Bankitalia offre tre spiegazioni: la presenza di shock esogeni – qui il riferimento è alle quotazioni petrolifere, che nonostante il rimbalzo, non hanno ancora recuperato i crolli del 2014 e 2015; le dimensioni dell’output gap, ovvero la capacità produttiva inutilizzata; infine, l’impatto che un periodo prolungato di bassa inflazione può esercitare sulla dinamica dei salari. E a questo proposito, il presidente della Banca centrale cita esplicitamente il caso dell’Italia.

“Nel suo discorso, Draghi ha sottolineato come la Bce debba essere tenace nel garantire che le condizioni finanziarie continuino a supportare la dinamica reflattiva. Per tutte queste ragioni – conclude Hoppe – riteniamo che la reazione dei mercati sia stata ipertrofica -. Ci aspettiamo che l’euro possa rafforzarsi nel momento in cui il differenziale dei tassi d’interessi tra treasury americani e bund tedeschi andrà a chiudersi. Ma le recenti oscillazioni sono state troppo repentine”.

Il presidente della Bce, Mario Draghi.
Il presidente della Bce, Mario Draghi.