Il crollo di Borsa di ieri e l’aumento verticale dello spread fra Btp e Bund è stato solo un assaggio di quel che potrebbe accadere, se le agenzie di rating dovessero abbassare il rating sull’Italia. Lo sa bene Mario Draghi, governatore della Bce, che appare sempre più preoccupato sul futuro dell’Italia. Solo pochi giorni fa – come ricorda Alessandro Barbera sulla Stampa – durante un suo intervento a Firenze, il numero uno dell’istituto di Francoforte “aveva sottolineato la vulnerabilità dei Paesi ad alto debito, e la necessità per loro di mostrarsi – prima ancora che capaci di ridurre lo stock – credibili di fronte ai mercati”
Nell stessa occasione, Draghi aveva ribadito come sia stato facile negli anni della crisi il contagio fra settore pubblico e privato in Europa:
“Poiché in molti Paesi lo Stato intermedia metà dell’economia, i rischi di default possono avere effetti drammatici sulla fiducia nel settore privato. Quando accade, sparisce qualunque distinzione fra banche e imprese, e fra banche più o meno esposte in titoli pubblici”.
La situazione potrebbe sembrare diversa ora. L’economia italiana sta crescendo mentre il piano di acquisto di titoli pubblici è ancora in vigore. E proprio su quest’ultimo punto che si alimentano le preoccupazione di Draghi.
Come ricorda Barbera:
“Francoforte è autorizzata ad acquistare titoli solo se «investment grade», ovvero sopra un certo livello di affidabilità. Per essere dentro al programma di quantitative easing basta che quello sia il giudizio di almeno una delle quattro sorelle del rating”.
Guardando ai giudizi espressi dalle agenzie di rating:
“Oggi il giudizio più generoso sull’Italia lo dà la canadese Dbrs, con un BBB+: sono appena tre gradini sopra la C, il livello al quale i titoli italiani sarebbero valutati come spazzatura. A quel punto si è fuori dal programma Bce, la condizione in cui tuttora è la Grecia. Per un Paese ad alto debito far partire la valanga è piuttosto semplice. La somma degli impegni presi da Salvini e di Maio con gli elettori valgono non meno di settanta miliardi di euro. Fra reddito di cittadinanza, cancellazione della legge Fornero e flat tax ce n’è abbastanza per mandare in pezzi i conti italiani e la credibilità agli occhi degli investitori.