(WSI) – Il diretto interessato, ovviamente, non commenta. Ma c’è da scommettere che a Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, la “promozione” alla Bce non sarebbe sgradita. Così quella che sembrava un’ipotesi frutto di un ragionamento squisitamente teorico, pubblicato venerdì scorso sul Wall Strett Journal, sta via via prendendo la forma di una sponsorizzazione governativa.
È dell’altro, infatti, la presa di posizione del ministro degli Esteri. Franco Frattini ha detto che dopo la scadenza del mandato del francese Jean Claude Trichet, fra un paio d’anni, «è il turno dell’Italia» e che il nostro Paese sarebbe «onorato» se l’attuale primo inquilino di palazzo Koch traslocasse a Francoforte. «Non è una candidatura» ha tenuto a precisare il responsabile della Farnesina. Il quale però ha messo in guardia Draghi, che nella corsa all’Eurotower dovrà vedersela con un pezzo da novanta. In pole position c’è il numero uno della Bundesbank, Axel Weber. Se puo’ interessarti, in borsa si puo’ guadagnare con titoli aggressivi in fase di continuazione del rialzo e difensivi in caso di volatilita’ e calo degli indici, basta accedere alla sezione INSIDER. Se non sei abbonato, fallo ora: costa solo 76 centesimi al giorno, provalo ora!
E lo stesso Frattini ha ammesso che il presidente della Banca centrale tedesca è il «candidato forte». Ma la Germania ha già presidiato la Bce prima di Trichet con Wim Duisenberg dal 1998 dal 2003, gestendo il neonato euro. Insomma adesso la «rotazione», secondo il responsabile della Farnesina, dovrebbe favorire l’Italia. E Draghi – che ha le carte in regola per gestire la politica monetaria europea, ma che guarda con un certo interesse pure al Fondo monetario internazionale – è il candidato naturale italiano.
I tempi sono compatibili: l’incarico di Trichet finisce nel 2011, quello del numero uno di via Nazionale a gennaio 2012. Sulla carta c’è tempo, ma i giochi per la successione si potrebbero chiudere in anticipo sulla scadenza dei mandati. Per il Wsj al G20 di Pittsburgh il governatore di Bankitalia era l’uomo «chiave» quello «da tenere d’occhio». E in effetti Draghi alla guida del Financial stability board ha avuto in mano la regia post-tsunami. Un ruolo che gli ha consentito di restituire centralità all’Italia nella fase di scrittura delle nuove regole per i mercati.
La faccenda, però, va letta sotto una luce diversa da quella che fa apparire il caso come una “banale” rivendicazione fra membri Ue: in ballo non c’è solo il prestigio internazionale. Perché in Italia, nell’establishment governativo, sono sempre di più quelli convinti che Draghi stia «meglio a Francoforte che a Roma». Il governatore viene inquadrato da mesi come possibile capo di un governo tecnico-istituzionale oppure come ministro dell’Economia se la finanza pubblica, a cagione della crisi finanziaria, richiedesse una cura da cavallo.
Senza dimenticare quanti inseguono la voce di “Poteri forti” in movimento per rimpiazzare l’esecutivo di centrodestra, con l’ombra di Draghi che aleggia su palazzo Chigi e che ha finito per innervosire il premier Berlusconi. E un sospiro di sollievo, probabilmente, lo tirerebbe pure il responsabile di via Venti Settembre. Del resto i rapporti tra Giulio Tremonti e lo stesso Draghi si sono deteriorati, tra i continui duelli sui conti pubblici e le divergenze circa le previsioni sulla crisi. Nessun vuoto in Bankitalia: in pista, a scaldare i muscoli, ci sarebbe già il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli.
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